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quinta-feira, 11 de abril de 2024

Fuga tra le Dolomiti: L'Epica Odissea di Matteo - Capitolo 3


Fuga tra le Dolomiti: L'Epica Odissea di Matteo

La vita è una sola e dobbiamo cercare di viverla appienoe


Capitolo 3 


Di imponente statura e abituato fin dall'infanzia a sfidare i capricci del clima, il vigoroso corpo del viaggiatore, spinto da agili passi, resisteva al freddo che si insinuava. In quel momento, il gelido non trovava spazio per infiltrarsi, respinto dai contorni atletici del viaggiatore. Mentre procedeva, la sua mente, un ingranaggio prodigioso, girava velocemente, risvegliando ricordi di un'infanzia legata alle pendici di maestose montagne. La sua terra natale, un piccolo villaggio di montagna, si rivelava nei ricordi come una cartolina ingiallita, con le sue scarse abitazioni di legno e pietra che circondavano una modesta chiesa, lo scenario sacro dove i suoi genitori avevano scambiato voti più di quattro decenni prima. Lì, nelle acque battezzate dalla stessa chiesa, lui e i suoi cinque fratelli avevano ricevuto i loro nomi. Il più giovane di una numerosa prole, quattro uomini e due donne, tutti tranne lui già immersi nelle responsabilità della vita coniugale e nella creazione dei propri figli. La sua famiglia si era radicata in quelle terre, coltivando il suolo come un'eredità ancestrale. Tre dei suoi fratelli avevano costruito case nello stesso villaggio, mentre gli altri, in località limitrofe, sostenevano la tradizione agricola tramandata dagli antenati. In quel mosaico di legami familiari e tradizioni rurali, una constatazione lo colse con un pizzico di sorpresa: tra i suoi, era l'unico a spezzare le catene di quel luogo. La sua fuga dalle strettoie del villaggio era dovuta alla sua innata curiosità e all'amore appassionato per i libri, un dono raro del vecchio maestro che, di tanto in tanto, saziava la sua sete di conoscenza. Fu proprio questo maestro che, con saggezza, gli aprì la strada per entrare in una scuola di formazione religiosa, un'opportunità unica per un ragazzo di dodici anni. Così, con una valigia piena di sogni e al fianco di un giovane compaesano, si lanciarono nell'ignoto, verso un collegio in città. Ricordò l'addio, uno spettacolo di emozioni trattenute, soprattutto perché sentiva che quella partenza segnava un addio alla casa paterna. La madre, già malata in quel periodo, si congedò da lui con un sorriso malinconico che nascondeva la tristezza sottostante. Lei capiva che quel percorso era necessario per lui, l'ultima occasione di sfuggire ai limiti prestabiliti di quel villaggio apparentemente senza orizzonti. Così, le lacrime trattenute negli occhi materni echeggiavano la rassegnazione e la speranza, perché lei sapeva che quella strada era la bussola che avrebbe guidato suo figlio al di là dei confini prevedibili di quelle montagne. Con la madre che svaniva nel passato, il giovane esploratore si gettò nei corridoi dell'istruzione formale, portando con sé non solo l'eredità della famiglia, ma anche una promettente fiamma interiore, alimentata dalla conoscenza e dalla promessa di un destino unico. Le radici profonde della montagna continuavano a esercitare la loro influenza, ma, come un seme portato dal vento, lui partì, cercando nuovi orizzonti che solo i tomi rilegati e i brucianti desideri potevano offrire. In quell'addio, tra i sospiri del passato e i sussurri del futuro, divenne l'araldo di un percorso straordinario, spezzando il destino tracciato dalla sua discendenza, scrivendo le sue stesse pagine sulle ancora inesplorate foglie del suo libro di vita. Immerso nelle trame del passato, mentre attraversava la densità della foresta, si vide improvvisamente strappato dai suoi ricordi da uno spavento così repentino da proiettarlo di nuovo nella cruda realtà. L'ombra della pattuglia, che aleggiava nella sua mente come una minaccia costante, lo colse, e, in un riflesso istintivo, si gettò a terra, cercando rifugio dietro a un imponente tronco caduto. Tuttavia, la furia sonora che lo aveva strappato dalla sua introspezione non era che un capriccio della natura: rami di un albero dal tronco robusto caddero, trascinando con sé appendici di altri alberi, creando il fragore che echeggiò nella solitudine della foresta. Lo spavento, seppur effimero, servì come un vigoroso richiamo alla sua consapevolezza, risvegliandolo alla necessità di essere vigile sul suo entorno. La percezione acuta che la notte si avvicinava portò con sé l'urgenza di trovare rifugio. Il freddo, intensificato dall'impeto del vento proveniente dall'ovest, lo spinse a prendere precauzioni immediate. Negli ultimi istanti di luminosità, identificò una imponente roccia e alcuni rami sporgenti, da cui costruì una rudimentale capanna. Con maestria improvvisata, la rivestì con foglie abbondanti sul terreno. Strategicamente, costruì il rifugio sul lato opposto alla pietra, contrastando l'impeto del vento crudele. Lì, tra il riparo improvvisato e il mormorio della natura notturna, si preparò ad affrontare un'altra notte, rifugiandosi nella fugacità del rifugio che aveva scolpito con le sue stesse mani. Estenuato, si abbandonò al sonno, immergendosi in un turbine di sogni e incubi che si susseguivano incessantemente. Immagini veloci della sua fuga e della casa paterna danzavano davanti ai suoi occhi chiusi. Si svegliò più volte nella notte, e quasi all'alba, sotto le prime luci che tingevano l'orizzonte, notò che il vento aveva perso la sua furia, cedendo il posto a una nevicata implacabile, dove i fiocchi bianchi diventavano padroni del paesaggio. Accoccolato sopra lo strato generoso di foglie secche che aveva improvvisato come letto e coperta, sperimentò una sensazione di protezione, un fugace rifugio nella tempesta del suo viaggio. Conosceva intimamente quella regione montuosa, simile alle terre dove aveva vissuto fino ai dodici anni, prima di varcare le porte del seminario. Nei tempi passati, insieme al padre e ai fratelli, esplorava i sentieri tra le montagne, guidando le mucche nei pascoli nascosti tra gli alberi. Era consapevole che in quei terreni accidentati esistevano rifugi, santuari eretti per la salvezza dei montanari colti di sorpresa in mezzo a una tempesta di neve improvvisa e implacabile. Nutriva la speranza di trovare quei rifugi, fari di salvezza nella vastità imprevedibile della montagna.


Passaggio del libro 'La Fuga dei Dolomiti' di Luiz Carlos B. Piazzetta
Continua

quarta-feira, 20 de março de 2024

Família de Francesco Piazzetta: Uma História de Superação e Perseverança

Igreja Sagrado Coração de Jesus (Água Verde) em 1910


Francesco Piazzetta, nascido em Pederobba, filho de Giuseppe Piazzetta e Caterina Franco, viúvo há três anos de Maria Augusta Verri, natural da cidade vizinha de Segusino, com a ajuda de seus cinco filhos, se preparou durante meses para a grande mudança que os levaria ao Novo Mundo. Vendeu a antiga casa de dois andares na "contrada Ghetto" em Pederobba, onde a família vivia, e todos os seus poucos bens, conseguindo juntar uma pequena economia que seria usada para iniciar a vida na nova pátria. Foi à prefeitura e obteve os passaportes para todos poderem deixar o país. Comprou passagens para o navio Adria, que partiria de Gênova no mês de dezembro, e se despediu dos amigos e da família que ficaram para trás. No último mês de 1890, Francesco Piazzetta, aos 51 anos de idade, nascido em 1839 em Fener, no município vizinho de Alano di Piave, província de Belluno, finalmente deixou a Itália e emigrou para o Brasil com seus quatro filhos - Giovanni Battista, Noè, Colomba e Augusta. A filha mais velha, Giovanna Antonia (Piazzetta) Viviani, ficaria para trás, pois já era casada e tinha sua própria família. No entanto, eles não sabiam que nunca mais veriam a querida Giovanella, como era chamada na família. Ela, junto com sua família, alguns anos depois também teve que partir em emigração e escolheu a França como destino. A jornada de Francesco Piazzetta, aos 51 anos de idade, e de seus quatro filhos menores, todos nascidos em Pederobba, Giovanni Battista, Noè, Colomba e Augusta, para o Brasil, começou na estação ferroviária de Cornuda, uma pequena cidade situada na região do Veneto, na Itália, a cerca de 8 km de Pederobba e ainda percorrida pela ferrovia que leva trens de Belluno. Eles partiram com antecedência e a pé, em uma tarde úmida e fria do início de dezembro, cada um levando consigo uma mala com roupas e alguns pequenos sacos de mantimentos preparados em casa para enfrentar a longa viagem de trem. Francesco e seus filhos chegaram à estação ferroviária em silêncio durante todo o percurso, muito preocupados e nervosos, mas cheios de expectativas, ansiosos para embarcar em sua jornada para o porto de Gênova. Apesar da preocupação com o desconhecido, Francesco estava entusiasmado com a ideia de deixar a Itália e começar uma nova vida em um país estrangeiro, mas ao mesmo tempo todos estavam muito tristes por deixar sua terra natal e as pessoas que amavam. A estação ferroviária de Cornuda era muito pequena, assim como a cidade em si, pouco movimentada naquela hora do dia, com uma ampla plataforma bem construída de onde os passageiros embarcavam nos trens. Francesco e seus filhos se sentaram em um banco de madeira na sala de espera espartana, esperando a chegada do trem que os levaria a Gênova e observando as poucas pessoas ao seu redor, muitas das quais conhecidas, emigrantes como eles. Alguns pareciam nervosos com a viagem e a separação, enquanto outros pareciam calmos e pensativos, aguardando sua vez. Finalmente, pouco depois das oito horas da noite, o trem chegou pontualmente e eles puderam embarcar no vagão que os levaria a Gênova. Encontraram seus lugares e se acomodaram, observando pelas janelas as paisagens que passavam. O trem passou por Ferrara, Bolonha, onde fez uma parada mais longa, seguindo então para Modena e Parma. Durante o trajeto, conseguiram ver apenas brevemente os vilarejos, as cidades e os campos verdes, com poucas folhas amarelas restantes devido à chegada do inverno. Esta era a primeira viagem deles de trem e nunca tinham estado tão longe de casa. Durante a viagem, conversaram um pouco, com o pai explicando aos filhos suas expectativas para a nova vida no Brasil e compartilharam suas preocupações e medos. Francesco explicou aos seus filhos que a viagem seria difícil, especialmente a de navio, através da imensidão do oceano, que nenhum deles conhecia, mas que eles deveriam ser fortes e corajosos. Ele também disse que a vida no Brasil seria muito diferente da vida na Itália, mas que eles se adaptariam em breve e teriam sucesso. Dormiram pouco, mal acomodados em assentos desconfortáveis da classe econômica. Após treze horas de viagem, o trem finalmente chegou à estação ferroviária de Gênova, fazendo muito barulho enquanto parava para permitir que mais passageiros embarcassem, quase sempre famílias de emigrantes como eles, que estavam deixando a Itália. Pensaram que talvez alguns deles tivessem o mesmo destino e viajariam no mesmo navio. Francesco e seus filhos desceram do trem entre o barulho e a agitação da cidade portuária naquela manhã cedo. O porto era enorme, com barcos e grandes navios ancorados em todas as direções. Eles procuraram e avistaram imediatamente o navio Adria, que não era um dos maiores, que os levaria ao Brasil, e sentiram imediatamente uma mistura de emoções. Curiosamente, caminharam pelo porto, observando dezenas de estivadores com seus carrinhos se movendo rapidamente, transportando grandes caixas de mercadorias. O Adria já estava atracado no cais e ouviram os gritos dos marinheiros que se preparavam para a viagem. Quando chegou a hora da partida no final da tarde, eles finalmente se dirigiram ao portão de embarque do navio que os levaria ao Novo Mundo e, com determinação, depois de entregar suas bagagens, passagens e passaportes, verificados tanto pelos funcionários do porto quanto pelos da companhia de navegação, subiram pela longa escada inclinada, sustentada por cordas grossas, ao lado do navio, e embarcaram sem muitos problemas. Os alojamentos eram bastante pequenos, com corredores estreitos, e eles teriam que compartilhar a cabine com outros passageiros, sem muita privacidade, mas ainda assim estavam felizes por estarem a bordo, ansiosos para começar a grande aventura. A viagem pelo mar seria longa e desafiadora, mas estavam determinados a alcançar o tão sonhado destino, o Brasil. Com um longo e grave apito, o Adria começou a se afastar lentamente do cais e gradualmente viram a costa italiana desaparecer no horizonte, provocando um frio na barriga. A cada dia, eles se aproximavam mais do Novo Mundo e das oportunidades que ele oferecia. Finalmente, após algumas semanas no mar, sem incidentes, eles chegaram ao porto do Rio de Janeiro, no Brasil. Desembarcaram e foram recebidos pelos funcionários do porto e levados ao Albergue dos Imigrantes, onde, após exame médico de rotina, foram acomodados aguardando o próximo pequeno barco que os levaria ao destino escolhido, o porto de Paranaguá no estado do Paraná. Depois de alguns dias de espera, finalmente receberam o aviso de embarque, desta vez em um pequeno barco chamado Rio Negro, que os levaria, junto com centenas de outros imigrantes italianos, de Rio de Janeiro a Paranaguá, mas o barco continuaria a viagem até Rio Grande do Sul. Eles haviam deixado a Itália, um país com sérios problemas econômicos, em busca de uma vida melhor no Brasil, e esperavam que essa nova terra lhes oferecesse novas oportunidades. De Paranaguá, seguiram para Curitiba, percorrendo a subida da Serra do Mar até Curitiba, ao longo do espetacular percurso ferroviário inaugurado apenas cinco anos antes. Foi uma viagem de algumas horas, com duas ou três paradas, cheia de paisagens deslumbrantes de uma floresta tropical intocada, com várias pontes de ferro e abismos profundos, já que Curitiba está a quase 1000 metros acima do nível do mar. Na capital do Paraná, com as economias trazidas da Itália, arrecadadas com a venda da casa e de alguns outros bens, Francesco comprou um terreno com uma pequena casa de madeira, na ainda nova colônia Dantas, onde já moravam desde o seu estabelecimento, apenas dois anos antes, várias outras famílias de imigrantes provenientes da região do Veneto como eles, algumas até conhecidas e parentes. Ele esperava que seus filhos pudessem ter acesso à educação e que ele pudesse encontrar trabalho como carpinteiro, o que garantiria uma vida mais confortável. Francesco estava determinado a construir uma nova vida na cidade e quando chegaram à Colônia Dantas, ficaram surpresos com o clima fantástico e com o progresso da capital paranaense. Era realmente um Novo Mundo, o que Francesco sempre sonhara. A cidade era rica e organizada, bem desenvolvida para a época, com muitos recursos e oportunidades de trabalho. Com o tempo, Francesco e seus filhos se adaptaram à vida na Colônia Dantas, que progredia rapidamente e, devido à proximidade com a capital, estava se tornando cada vez mais um bairro populoso, como de fato aconteceu alguns anos depois, quando foi chamada de Água Verde. Rapidamente fizeram amizade com outras famílias italianas residentes na área e se estabeleceram definitivamente na comunidade, participando ativamente de eventos sociais e atividades comunitárias locais, como a construção da nova igreja. Francesco, habilidoso carpinteiro e entalhador, logo encontrou trabalho, abrindo uma pequena oficina com o filho mais velho, enquanto os mais jovens começavam a frequentar a escola. Embora a vida ainda reservasse grandes desafios, Francesco e seus filhos estavam felizes por terem tomado a decisão de emigrar para o Brasil. Sentiam que lá tinham muitas mais oportunidades, que estavam no caminho certo para uma vida melhor neste grande país. Francesco Piazzetta faleceu em 30 de novembro de 1922, em Curitiba, aos 83 anos de idade, deixando os quatro filhos, todos já casados, e também vários netos. 

domingo, 30 de julho de 2023

Da Itália ao Brasil: A História de Francesco e Maria - Uma Jornada de Esperança e Superação


 


Da Itália ao Brasil: A História de Francesco e Maria - Uma Jornada de Esperança e Superação


Era o final do século XIX, uma época de grandes transformações e esperanças para muitas pessoas ao redor do mundo. Em uma pequena aldeia no norte da Itália, vivia um casal de jovens apaixonados, Francesco e Maria, que sonhavam com uma vida melhor do outro lado do oceano. A pobreza e as dificuldades da vida no campo os impulsionavam a buscar novas oportunidades em terras distantes. Com coragem e determinação, Francesco e Maria decidiram embarcar em uma longa travessia pelo Atlântico rumo ao Brasil. A viagem foi árdua e desafiadora, com dias intermináveis de mar revolto e incertezas sobre o futuro. No entanto, a esperança de uma vida melhor os mantinha firmes em seu propósito.
Após semanas de viagem, finalmente avistaram a terra à distância. Era o Brasil, o país que lhes prometia uma nova chance. Desembarcaram em Porto Alegre e, com poucas posses e muitos sonhos, partiram em direção à Colônia Dona Isabel, no Rio Grande do Sul. A chegada à colônia foi um misto de deslumbramento e desafios. A paisagem verdejante e as vastas terras férteis pareciam prometer um futuro próspero. No entanto, a adaptação à nova cultura e a língua desconhecida se mostraram grandes obstáculos. Francesco e Maria encontraram abrigo em uma pequena choupana de madeira e começaram a trabalhar na plantação de trigo de um colonizador local. Os dias eram longos e árduos, com o sol escaldante castigando suas costas e a terra seca exigindo esforço redobrado. Mas eles não desistiram. A cada novo amanhecer, renovavam sua determinação em construir uma vida melhor para si e para as gerações futuras.
Com o passar dos anos, Francesco e Maria prosperaram. Suas lavouras se expandiram, eles construíram uma casa de alvenaria e tiveram filhos. A colônia Dona Isabel se transformou em um pequeno vilarejo, com uma comunidade italiana unida pelo trabalho árduo e pela solidariedade. As tradições italianas foram preservadas, com festas e celebrações que remetiam à terra natal. A comida típica, como a polenta e o vinho, eram apreciados por todos. A língua italiana era falada com orgulho e os costumes transmitidos de geração em geração. Francesco e Maria, orgulhosos de suas raízes e da vida que construíram, viram seus filhos crescerem e se tornarem parte ativa da comunidade. O legado de coragem e perseverança deixado por eles influenciou não apenas seus descendentes, mas também todos aqueles que os cercavam. 
No final do século XIX, a longa travessia do oceano e os primeiros anos na Colônia Dona Isabel no Rio Grande do Sul foram marcados por desafios, mas também por esperança e superação. Francesco e Maria, assim como tantos outros imigrantes italianos, deixaram um legado de trabalho árduo, fé e amor pela terra que escolheram chamar de lar. Sua história é um testemunho da força e da resiliência daqueles que buscam uma vida melhor para si e para seus descendentes.



de Gigi Scarsela
erechim rs




domingo, 2 de julho de 2023

A Emocionante Jornada da Família de Francesco Piazzetta: Uma História de Superação e Perseverança

Igreja Sagrado Coração de Jesus (Água Verde) em 1910


Francesco Piazzetta, já viúvo a três anos de Maria Augusta Verri, natural da vizinha cidade de Segusino, com a ajuda dos cinco filhos, se prepararam durante meses para a grande mudança que os levaria para o Novo Mundo. Vendeu a antiga casa de dois pisos na  "contrada Ghetto" em Pederobba, onde a família morava e todos os seus poucos bens, conseguindo juntar uma pequena economia que seria usada para iniciar a vida na nova pátria. Foi até a prefeitura e providenciou os passaportes para todos poderem deixar o país. Comprou as passagens para o navio Adria que partiria de Gênova no mês de dezembro e se despediram dos amigos e familiares que ficaram para trás. 
No último mês de 1890, Francesco Piazzetta, com 51 anos, nascido no ano de 1839 na localidade Fener, no vizinho município de Alano di Piave, província de Belluno, finalmente deixou a Itália e emigrou para o Brasil com seus quatro filhos - Giovanni Battista, Noè, Colomba e Augusta. A filha primogênita, Giovanna Antonia (Piazzetta)  Viviani, ficaria para trás, pois já estava casada e tinha sua própria família. Não sabiam, porém, que nunca mais veriam a querida Giovanella, apelido como era chamada em família. Ela junto com a sua família alguns anos mais tarde também precisou partir em emigração e o país escolhido foi a França.
A viagem de Francesco Piazzetta, que então estava com a idade de 51 anos e seus quatro filhos menores, todos nascidos em Pederobba, Giovanni Battista, Noè, Colomba e Augusta, para o Brasil começou na estação ferroviária de Cornuda, uma pequena cidadezinha localizada na região de Veneto, na Itália, a cerca de 8 km de Pederobba e por onde passa até hoje a linha férrea com os trens que vem de Belluno. 
Partiram com bastante antecedência e a pé, em uma tarde úmida e fria do início de dezembro, cada um carregando uma mala com roupas e alguns pequenos sacos com mantimentos preparados em casa para enfrentar a longa viagem de trem.
Francesco e seus filhos chegaram à estação de trem calados durante todo o trajeto, muito preocupados e nervosos, mas, cheios de expectativa, ansiosos para embarcar em sua jornada rumo ao porto de Gênova. Apesar da preocupação com o desconhecido Francesco estava animado com a ideia de deixar a Itália e começar uma nova vida em um país estrangeiro, mas, por outro lado, todos também estavam muito tristes em deixarem sua terra natal e as pessoas que amavam.
A estação ferroviária de Cornuda era bem pequena, tal como a própria cidade, pouco movimentada aquela hora do dia, com uma ampla plataforma bem construída por onde os passageiros embarcavam nos trens. Francesco e os filhos se sentaram em um banco de madeira, na espartana sala de espera, aguardando a chegada do trem que os levaria até o porto de Gênova e observaram as poucas pessoas ao seu redor, muitos deles conhecidos, emigrantes como eles. Alguns demonstravam o nervosismo com a viagem e a separação, enquanto outros aparentavam estar calmos e pensativos, aguardando a sua vez.
Finalmente, pouco depois das vinte horas, o trem chegou com pontualidade e assim puderam embarcar no vagão que os levaria até Gênova. Eles encontraram seus assentos e se acomodaram, observando pela janela as paisagens que passavam. O trem passou por Ferrara, Bologna onde nesta cidade fez uma parada mais longa seguindo para Modena e Parma. No trajeto pouco puderam ver dos vilarejos, cidades e campos verdes, com as poucas folhas amareladas que sobraram pela chegada do inverno. Esta era a primeira viagem de trem que faziam e jamais tinham estado assim tão longe de casa.
Durante a viagem, eles conversaram um pouco, com o pai explicando aos filhos sobre suas expectativas para a nova vida no Brasil e compartilharam suas preocupações e medos. Francesco explicou aos seus filhos que a viagem seria difícil, principalmente aquela de navio, através do grande oceano, que nenhum deles conhecia, mas que eles deveriam ser fortes e corajosos. Ele também lhes disse que a vida no Brasil seria bastante diferente da vida na Itália, mas, que eles logo se adaptariam e seriam bem-sucedidos. Pouco dormiram, mal acomodados que estavam nos desconfortáveis bancos da classe econômica.
Após treze horas de viagem, o trem finalmente chegou à estação ferroviária de Gênova, passando por dezenas de estações onde, fazendo grande rumor, parava para receber mais passageiros, quase sempre famílias de emigrantes como eles, que também estavam deixando a Itália. Pensaram consigo mesmo que talvez alguns tivessem o idêntico destino deles e viajassem no mesmo navio.
Francesco e seus filhos desembarcaram do trem sendo recebidos pelo barulho e agitação da cidade portuária naquele começo de manhã. O porto era enorme, com barcos e grandes navios ancorados em todas as direções. Procuraram e logo avistaram ao longe o navio Adria, que não era dos maiores, o qual os levaria ao Brasil e sentiram imediatamente uma mistura de emoções.
Com curiosidade caminharam pelo porto, observando as dezenas de carregadores com seus carrinhos de mão, se deslocando apressados, levando grandes caixotes de mercadorias. O Adria já estava ancorado no cais e dele ouviam ordens sendo repassadas aos gritos, desde o seu tombadilho e também viram o corre-corre agitado dos marinheiros preparando o navio para a viagem. Quando no final da tarde a hora da partida chegou eles finalmente se dirigiram para o portão de embarque do navio que os levaria para o Novo Mundo e, resolutamente, após entregarem suas bagagens, os bilhetes e seus passaportes, conferidos tanto por parte dos funcionários do porto como aqueles da companhia de navegação, subiram pela longa escada inclinada, sustentada por grossas cordas, ao lado do navio, e embarcaram sem maiores problemas. Os alojamentos eram bem pequenos, corredores apertados e deviam dividir o aposento com outros passageiros, sem muita privacidade, mas, apesar de tudo eles estavam felizes por estarem a bordo, ansiosos pelo início da grande aventura.
A viagem pelo mar seria longa e desafiadora, mas eles estavam determinados a chegar ao tão sonhado destino, o Brasil. Com um longo e grave apito o Adria começou a se afastar lentamente do cais e gradualmente observaram a costa italiana desaparecer no horizonte provocando um frio nas suas barrigas. A cada dia, eles se aproximavam mais do novo mundo e das oportunidades que ele oferecia.
Finalmente, depois de algumas semanas no mar, sem quaisquer incidentes, eles finalmente chegaram ao porto do Rio de Janeiro, no Brasil. Desembarcaram sendo recebidos por funcionários portuários e encaminhados para a Hospedaria dos Imigrantes onde, após o exame médico rotineiro, foram abrigados para esperar pelo outro navio menor que os levaria para o destino escolhido, o porto de Paranaguá no estado do Paraná. Depois de uns dias de espera finalmente chegou o aviso para embarcarem novamente, desta vez em um navio menor chamado Rio Negro que os levaria, com centenas de outros imigrantes italianos, do Rio de Janeiro para a cidade de Paranaguá, no Paraná, mas o navio continuaria viagem para o Rio Grande do Sul.
Eles haviam deixado a Itália, um país atrasado e com graves problemas econômicos, em busca de uma vida melhor no Brasil e esperavam que essa nova terra lhes oferecesse novas oportunidades.
De Paranaguá seguiram para Curitiba, fazendo o trajeto de subida da Serra do Mar até Curitiba, pela espetacular estrada de ferro inaugurada apenas cinco anos antes. Foi uma viagem de poucas horas, com duas ou três paradas, repleta de paisagens deslumbrantes de uma floresta tropical intacta, com diversas pontes de ferro e profundos precipícios, pois, Curitiba está a quase 1000 metros acima do mar. 
Na capital paranaense, com as economias trazidas da Itália, arrecadadas com a venda da casa e de alguns outros pertences, Francesco comprou um lote de terra com uma pequena casa de madeira, na ainda nova colônia Dantas, onde já moravam desde a sua inauguração, a apenas dois anos, várias outras famílias de imigrantes provenientes da região do Vêneto como eles, alguns até conhecidos e meio aparentados. Ele esperava que seus filhos tivessem acesso à educação e que ele pudesse encontrar trabalho como marceneiro, que lhes proporcionasse uma vida mais confortável. Francesco estava determinado a fazer uma nova vida na cidade e quando chegaram à Colônia Dantas, ficaram surpresos com o ótimo clima e progresso da capital paranaense. Era realmente um novo mundo, aquilo que Francesco sempre sonhara. A cidade era rica e organizada, bem desenvolvida para a época, com muitos recursos e disponibilidade de trabalhos. 
Com o tempo, Francesco e seus filhos se adaptaram à vida na Colônia Dantas, a qual progredia rapidamente e pela contiguidade com a capital estava se tornando a cada dia com aspecto de um populoso bairro, o que de fato veio acontecer alguns anos depois, quando passou a ser chamada de Água Verde. Eles logo fizeram amizade com outras famílias italianas moradoras no local e se estabeleceram definitivamente na comunidade se envolvendo e participando ativamente de eventos sociais e atividades comunitárias do local, como a construção da nova igreja. Francesco, bom carpinteiro e entalhador, logo encontrou trabalho, montando uma pequena oficina com o filho mais velho e os menores começaram a frequentar a escola. Embora a vida ainda reservasse grandes desafios, Francesco e os filhos estavam felizes por tomarem a decisão de emigrar para o Brasil. Sentiam terem ali muito mais oportunidades, que estavam no caminho certo para uma vida melhor neste grande país. Francesco Piazzetta faleceu em 30 de novembro de 1922, em Curitiba, com a idade de oitenta e três anos, deixando os quatro filhos, todos já casados, e também vários netos.


Dr. Luiz Carlos B. Piazzetta
Erechim RS










terça-feira, 13 de junho de 2023

A Saga de uma Família de Imigrantes Italianos em Busca de uma Nova Vida




Antonio era um homem de aparência forte, olhar determinado, de um azul-claro e penetrante. Ele havia perdido a esposa há três anos na Itália, devido a uma grave doença e, como não conseguia mais sustentar sua família, decidiu emigrar para o Brasil em busca de uma vida melhor. Com 57 anos, com seus quatro filhos, ele deixou a pequena vila onde moravam, no interior de Treviso, e embarcou em um navio rumo ao Brasil. A viagem no Adria foi longa e cansativa. Eles enfrentaram mau tempo, doenças e a falta de privacidade a bordo. No entanto, Antonio nunca perdeu a esperança de encontrar um lugar onde pudesse dar um futuro melhor aos seus filhos. Depois de 22 dias de viagem, eles finalmente chegaram ao Porto do Rio de Janeiro, onde foram direcionados para a hospedaria da ilha das Flores. A hospedaria era um lugar grande e assustador para as crianças. Elas nunca tinham visto tantas pessoas juntas em um só lugar, todas falando línguas diferentes e com hábitos estranhos. O primeiro contato com as comidas servidas no Brasil não foram muito agradáveis para eles. Ao verem farinha de mandioca servida à mesa da hospedaria, ficaram contentes pensando ser queijo ralado, que não comiam há bastante tempo. Quando provaram aquelas insípidas raspas tiveram a primeira desilusão culinária no país. Mas, o fato que mais chamou a atenção de todos eles, além das belezas naturais e a  exuberância vegetal da ilha, foi a quantidade de pessoas de pele escura que encontravam no porto, fato nunca visto por eles. Antonio se manteve firme e não deixou que o medo tomasse conta de sua família. Ele sabia que ainda teriam que enfrentar muitos desafios, mas não desistiria de seus sonhos. Depois de alguns dias, eles foram liberados da hospedaria e seguiram em outro navio em direção ao porto de Paranaguá e deste, de trem, até a cidade de Curitiba, onde chegaram a meados de janeiro de 1891. A cidade era bem diferente daquilo que haviam imaginado. Como a capital do estado do Paraná, era grande, movimentada e muito barulhenta para eles. Antonio sabia que teriam que se adaptar e fazer o melhor que pudessem. Com as economias que haviam trazido da Itália, obtida com a venda da casa em que moravam e de outros bens, Antonio adquiriu um terreno grande, com uma antiga moradia, na periferia da cidade, em uma colônia onde já estavam morando muitas dezenas de outros imigrantes italianos e gradualmente foram aumentando e melhorando a residência. Antonio era um ótimo carpinteiro e sempre conseguia bons trabalhos nas casas das famílias mais ricas da cidade. Essa profissão ele tinha herdado dos seus antepassados os quais, por diversas gerações, a exerceram trabalhando para as famílias nobres das províncias de Belluno e Treviso. Era um trabalho duro e cansativo, principalmente naquela época onde tudo era feito manualmente, sem auxílio de máquinas, mas ele não reclamava. Em pouco tempo seu trabalho já estava sendo reconhecido e muito procurado na cidade. Fazia tudo com amor e dedicação, sempre pensando no futuro de seus filhos. Os anos passaram e os filhos foram crescendo. Francesco, o filho mais velho, começou a ajudar o pai na carpintaria e logo também se tornou um exímio carpinteiro, fazendo jus a tradição da família. Juntos abriram a própria fábrica de móveis, portas e janelas, durante muitos anos com ótima clientela. Se casou com uma bela moça, também ela italiana de nascimento e tiveram 8 filhos. Giovanni, o segundo filho de Antonio, abriu um pequeno armazém que vendia secos e molhados, atendendo a freguesia com uma pequena carroça de um cavalo. Ele também se casou com uma moça de uma família italiana que chegou com a família dez anos antes dele e do casamento vieram cinco filhos. As duas filhas de Antonio, Rosa e Chiara, muito prendadas, desde a chegada no Brasil, sempre se dedicaram ao pai e irmãos, cuidando dos serviços da casa e da pequena plantação da qual tiravam grande parte do sustento da família e o que sobrava vendiam pela vizinhança. Quando atingiram a maioridade, logo se casaram com rapazes filhos de famílias de imigrantes italianos como eles e se mudaram para outros bairros da cidade, onde também constituíram duas numerosas famílias. Em 1935 Giovanni faleceu tragicamente devido um acidente de trabalho e Francesco ficou com a carpintaria, a transferindo para outro bairro da cidade. A pequena casa de madeira foi demolida, por volta da década de 1940, quando um dos filhos do Giovanni, o mais novo deles ainda solteiro, que havia estudado contabilidade e já trabalhava em uma importante casa bancária, decidiu construir uma casa de alvenaria para viver com sua mãe viúva. Foi um esforço financeiro de alguns anos, mas a nova casa ficou bem bonita e ao gosto da sua mãe. Antonio faleceu de morte natural em 1925, com a idade de 92 anos, deixando uma numerosa descendência. Ele foi um homem forte, corajoso e determinado, que nunca desistiu de seus sonhos. Sua história é um exemplo de amor e perseverança, que inspira as gerações que vieram depois dele.


Conto de
Dr. Luiz Carlos B. Piazzetta
Erechim RS