segunda-feira, 7 de maio de 2018

I Veneti nel Paranà



Intervento di Luis Molossi, consultore della FAVEP, nella Consulta Veneta de 2009
Desiderio Peron 20 de dezembro de 2009 sulla revista Insieme

L’emigrazione verso il Paraná, regione che in quel tempo faceva ancora parte dello Stato di São Paulo, venne regolamentata con la Legge Provinciale n.º 29, del 21/03/1855. L’intervento legislativo si rese necessario visto il sempre più impellente bisogno di mano d’opera, legato alla volontà da parte dell’impero portoghese di estendere la propria egemonia sui territori situati all’estremo sud del Brasile. Quest’azione era tesa a stabilizzare une delle zone più calde del paese. Infatti non da molto qui si erano conclusi alcuni conflitti e ribellioni, come ad esempio la guerra dei “Farrapos” che interessò Rio Grande do Sul e Santa Catarina. L’interesse a consolidare e ad assumere prima possibile il controllo di quei territori era prima di tutto dettato dal fatto che si trattava di zone di confine, sulle quali giravano molteplici interessi prevalentemente da parte dei governi spagnolo, uruguaiano ed argentino. Prioritariamente si ritenne necessario sviluppare un’economina prevalentemente agricola tale, almeno in una sua prima fase, da garantire la sussistenza degli abitanti, tenendo logicamente presente l’incremento demografico che ne sarebbe derivato. Parallelamente si andò ad investire sulle infrastrutture, concentrando gli sforzi sulla creazione di nuove vie di comunicazione quindi sulla ristrutturazione delle strade preesistenti; era infatti di fondamentale importanza agevolare il più possibile i contatti fra le varie comunità. Nella zona di Curitiba come del resto a Lapa, Ponta Grossa, Castro e Guarapuava vennero alla luce moltissime colonie fondate prevalentemente da: tedeschi, polacchi, svizzeri, inglesi, francesi e anche belgi; fino ad allora la componente italiana era numericamente trascurabile. Solo dal 1875 l’immigrazione nel Paranà da parte degli italiani assunse un aspetto consistente. La causa dell’incremento di questo flusso migratorio era individuabile in una profonda crisi economica, dovuta ai molteplici problemi, ad allora irrisolti, derivanti dalla recente unità d’Italia. I motivi per i quali moltissime persone individuarono nel Brasile il luogo dove andare a costruire il proprio futuro, sono dovuti in primis alla possibilità di possedere un pezzo di terra da coltivare, aspetto peculiare di una neonata giurisprudenza in materia d’immigrazione che al tempo rendeva questo paese ben più appetibile di altri. La prima Colonia Italiana del Parana risale alla prima metà degli anni 1870; questa fu chiamata “Alexandra”, e sorse in una zona prossima al “Porto de Paranaguá”. Il motivo di tale ubicazione è riconducibile al tentativo, purtroppo solo a parole, di ridurre al minimo gli oneri a carico degli immigranti italiani per la loro “sistemazione”. In realtà Sabino Tripoti, imprenditore legato contrattualmente al Presidente della Provincia, Venâncio José Lisboa, nonché fondatore della stessa Colonia Alessandra, lucrava e non poco sui suoi sventurati compatrioti che, spinti da una sempre più impellente indigenza, avevano dovuto lasciare il proprio paese. Per avere un’idea su quanto questo “signore” vessava i propri connazionali, basti pensare che il costo effettivo per la sistemazione di ogni singola persona ammontava all’epoca a cento lire, mentre lui se ne intascava candidamente 500. É noto inoltre che Tripoti abbia partecipato in Argentina alla fondazione delle colonie “Emilia” e “Ausonia”, situate rispettivamente a Santa Fé ed a Chaco, meritandosi le “attenzioni” della magistratura argentina oltre che di quella italiana, dovute sempre al comportamento vessatorio nei confronti degli emigranti, considerati da questo sant’uomo niente più che fonte di profitto. Come se tutto ciò non bastasse, la scelta di insediarsi nella zona di Paranaguá di lì a poco si dimostrò completamente sbagliata a causa di un terreno inadatto ad essere coltivato e di un clima troppo caldo per persone che erano abituate da generazioni al freddo degli altipiani veneti. Una volta resisi conto della situazione, molti pensarono addirittura di far ritorno in Italia, in quanto era completamente venuta a mancare la fiducia nei confronti delle promesse fatte a suo tempo dalle agenzie per l’emigrazione italiane. Fu così che per mano del Presidente della Provincia, Adolfo Lamenha Lins, il contratto fu annullato e fu fondata la colonia “Nova Italia” a Morretes, cittadina situata sempre vicina alla zona costiera. Fu proprio tale ubicazione a determinare un ulteriore fallimento, sempre da attribuire alla scarsa qualità del terreno oltre che alla difficoltà nel distribuire e conseguentemente a commercializzare prodotti quali la canna da zucchero, l’acquavite, il caffè, il mais ed i fagioli. I documenti dell’epoca riportano che la colonia era occupata da 800 famiglie e suddivisa in 610 lotti pressochè inutilizzabili a fini agricoli. Il 13/10/1892 Prete Pietro Antonio Colbacchini scrisse una lettera, specie di resoconto, al Presidente della Società Italiana di San Raffaele, responsabile dell’assistenza agli emigrati, dove lamentava la situazione d’estremo disagio, dovuta al caldo, ai parassiti, agl’insetti (soprattuto zanzare) nella quale si erano venuti a trovare i coloni. Oltre a tutto ciò il prelato, sempre nella medesima lettera, descrive sintomi quali: “stordimento al capo, languore di membra, inappetenza, svogliatezza, indolenza e quasi tedio della vita”. Fu così che moltissimi lasciarono la costa per raggiungere l’altopiano curitibano, soventemente andando ad insediarsi in colonie preesistenti, ubicate nelle zone limitrofe della capitale quali: Antonio Rebouças, Santa Maria do Novo Tyrol (colonia trentina), Campo Comprido, Murici, Inspetor Carvalho, Dantas (Água Verde), Santa Felicidade, Alfredo Chaves (Colombo) ed altre. Alcune comunità fecero subito proprie abitudini e costumi locali, mentre altre, prevalentemente quelle più decentrate, grazie ad un intregrazione più progressiva, riuscirono a mantenere ben vivi i legami con le proprie radici, non dimenticando la propria lingua e più in generale la propria cultura. L’organizzazione delle colonie seguiva normalmente delle regole molto semplici: veniva prioritariamente operata una suddivisione del terreno destinato alle attività economiche, quindi si andavano ad erigere in successione la chiesa, il cimitero quindi la scuola. L’economia di ogni singola comunità dell’epoca era di carettere prettamente rurale; la colonia doveva essere quasi del tutto autosufficiente stabilendo al proprio interno una sorta di organizzazione di carattere autarchico. Ecco che si allevava il bestiame, si coltivava della vite, ai legumi, agli ortaggi, si costruivano mulini per la produzione di farina di mais destinata, oltre che finire sulle tavole sotto forma di polenta, anche a diventare mangime per animali. Si tendeva inoltre a disbocare il più possibile, producendo così molto legname da destinare soprattuto ad un utilizzo edilizio, ed allo stesso tempo ottenendo nuovo terreno da coltivare. Infine, non mancavano ferriere e fabbri. Il Paranà copre una superficie pari ai 2/3 dell’Italia. Nel periodo della grande immigrazione il suo territorio era pressochè quasi totalmente ricoperto da foreste formate prevalentemente da pini (araucária). Il Prete Colbacchini, durante le sue lunghissime ed innumerevoli peregrinazioni, fece erigere ben 16 cappelle ed una grande chiesa. Quest’ultima fu costruita nel quartiere di “Santa Felicidade”, ad oggi, fra le zone a maggioranza italiana e, senza dubbio, une delle più conosciute e sviluppate dello stato paranaense. Non è assulutamente un caso che la principale via d’accesso, piena peraltro d’innumerevoli ristoranti e negozi, porti il nome di “Via Veneto” ed al proprio ingresso vi sia stato sistemato il famoso “Leone Allato”, simbolo per eccellenza dei Veneti. “Il campo è imenso. Faremo un corpo unico. Fonderemo una Congregazione religiosa, un seminário…” diceva Colbacchini ad alcuni amici sacerdoti di Vicenza, esortandoli a raggiungerlo in Brasile, alla fine del secolo XIX. È attualmente impossibile risalire a quanti prelati e quante famiglie siano giunte qui dal Veneto. Possiamo però sicuramente affermare che la presenza dei veneti in Paraná è ed è stata veramente rilevante sia in riferimento all’espetto prettamente demografico, sia e soprattuto per come quest’ultimi siano riusciti con il loro fondamentale contibuto a dare slancio allo sviluppo economico dello stato. Tengo a sottolineare che i veneti, grazie alla creatività e alla laborosità, qualità loro peculiari, si sono fatti valere analogamente anche in molte altre parti del mondo. La popolazione dello Stato del Paranà conta oggi col quase 40% di origine italiana, della quale, la maggior parte di veneti. Ancora oggi, in qualsiasi luogo lo s’incontri, un veneto, oltre che per il cognome, è riconoscibile per il suo inconfondibile accento, ciò a testemonianza di un ancora più che vivo legame con la propria cultura. La sfida della FAVEP – Federazione delle Associazioni Venete dello Stato del Paraná, ente di cui ho l’onore di far parte e da cui sono chiamato a ricoprire la carica di consultore, consiste nel sollecitare il senso d’appartenenza dei veneti con la propria origine. Questo sarà possibile se tutti noi c’impegneremo nel dare la maggiore visibilità possibile alle numerose iniziative di cui la Regione Veneto si sta facendo promotrice. Non potete immaginare il piacere ed allo stesso tempo la grande emozione che provo, stando qui a parlare con voi. Per concludere, visto che la lingua veneta in tutto il sud del Brasile diventa per legge lingua ufficiale, con tutto il mio orgoglio di veneto, voglio dirvi: “- MI SON TALIAN, ÒSTREGA!” 



Dr. Luiz Carlos B. Piazzetta
Erechim RS