domingo, 22 de dezembro de 2024

L'Influenza Italiana nella Colonizzazione di Santa Catarina



Circa il 95% degli italiani che sono arrivati nello stato di Santa Catarina proveniva dal nord Italia, dalle attuali regioni del Veneto, Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige. Tuttavia, i primi immigrati italiani che sono giunti nello stato nel 1836 provenivano dalla Sardegna, fondando la colonia di Nova Itália (oggi São João Batista). Questi immigrati pionieri arrivarono in numero limitato e ebbero scarso impatto sulla demografia dello stato. Fu solo in seguito, a partire dal 1875, che un maggior numero di immigrati italiani si stabilì nello stato. Vennero così create le prime colonie italiane dello stato: Rio dos Cedros, Rodeio, Ascurra e Apiúna, tutte situate nei dintorni della colonia tedesca di Blumenau, fungendo così da avamposto di questo nucleo germanico. Nello stesso anno, gli immigrati del Tirolo italiano fondarono Nova Trento, e nel 1876 fu fondata Porto Franco (oggi Botuverá). Gli italiani insediati in queste prime colonie provenivano principalmente dalla Lombardia e dal Tirolo italiano, che all'epoca apparteneva all'Austria.
Negli anni successivi, furono create numerose altre colonie, con il sud di Santa Catarina che divenne il principale punto focale della colonizzazione italiana nello stato. In questa regione furono fondate Azambuja nel 1877, Urussanga nel 1878, Criciúma nel 1880, la colonia mista di Grão-Pará nel 1882, il nucleo di Presidente Rocha (oggi Treze de Maio) nel 1887, i nuclei di Nova Veneza, Nova Belluno (oggi Siderópolis) e Nova Treviso (oggi Treviso) nel 1891, e Acioli de Vasconcelos (oggi Cocal do Sul) nel 1892. Nel sud dello stato gli immigrati provenivano principalmente dal Veneto, e in misura minore dalla Lombardia e dal Friuli-Venezia Giulia. Gli immigrati si dedicarono principalmente allo sviluppo dell'agricoltura e all'estrazione del carbone, rivestendo un ruolo fondamentale nella formazione di questa regione. Gli eventi che caratterizzano maggiormente questa colonizzazione nel sud dello stato sono le feste tradizionali, come la festa del vino e il Ritorno alle origini, entrambi nel comune di Urussanga.
L'arrivo degli italiani nello stato terminò nel 1895, quando un numero già ridotto di coloni arrivò per colonizzare la comunità di Rio Jordão, nel sud dello stato. Principalmente a causa della guerra civile scoppiata nel paese con la Rivoluzione federalista e per la fine del contratto della repubblica che lasciava all'incarico degli stati il sussidio all'immigrazione, gli italiani smisero di affluire ai porti di Santa Catarina.
A partire dal 1910, migliaia di gaúchos migrarono a Santa Catarina, tra cui migliaia di discendenti di italiani. Questi coloni italo-brasiliani colonizzarono gran parte dell'Ovest catarinense. Attualmente, vivono in Santa Catarina circa tre milioni di italiani e discendenti, rappresentando circa la metà della popolazione, e gran parte della cultura è ancora preservata nei vecchi centri di colonizzazione, soprattutto nella gastronomia e nella lingua.


I Sogni degli Emigranti

 


I Sogni degli Emigranti


La nebbia leggera del mattino avvolgeva il porto di Genova, dove la nave Speranza era ancorata, pronta a salpare verso il Brasile. Tra le ombre e i raggi di sole che timidamente squarciavano la foschia, un gruppo di famiglie italiane si radunava, portando con sé non solo valigie, ma anche il peso dei loro sogni e aspettative. Ciascuno degli emigranti portava negli occhi il riflesso di un futuro idealizzato, una terra dove la fame, la miseria e le incertezze sarebbero state sostituite dall'abbondanza e dalla dignità.

Giuseppe Rossi, un agricoltore di trent'anni, stringeva la mano di sua moglie Maria, mentre i loro due figli, Luigi e Clara, guardavano curiosi il gigante di legno che presto li avrebbe condotti verso una nuova vita. Giuseppe era nato e cresciuto nel piccolo paese di Castelfranco Veneto, dove il suolo arido e la mancanza di lavoro avevano reso insopportabile la lotta quotidiana per la sopravvivenza. In notti di insonnia, spesso ascoltava storie di italiani prosperi in Brasile, raccontate da viaggiatori e preti, promesse di una terra dove tutto cresceva, dove il lavoro era ricompensato e dove i figli potevano sognare senza limiti.

A bordo della Speranza, i giorni si trascinavano. La brezza marina, che inizialmente era un sollievo per gli emigranti, era diventata un costante promemoria della distanza crescente tra loro e l'Italia. Le notti erano riempite di canti tristi, lamenti che riecheggiavano nel ventre della nave, dove i passeggeri di terza classe erano confinati. Ma anche in mezzo alle difficoltà del viaggio, il sogno del Brasile restava vivo, alimentato dalle storie che circolavano tra le famiglie.

La prima visione del Rio Grande do Sul fu un miraggio lontano. La costa frastagliata, con le sue montagne verdi e foreste dense, sembrava promettere tutto ciò che avevano sperato. Giuseppe strinse forte la mano di Maria, e i loro sguardi si incontrarono, pieni di speranza. “Qui costruiremo una nuova vita”, pensò, certo che quella fosse la terra dove i suoi figli sarebbero cresciuti con dignità e abbondanza.

La realtà, tuttavia, era meno indulgente delle storie raccontate in Italia. Appena sbarcati a Porto Alegre, furono indirizzati a una colonia nella Serra Gaúcha, dove li attendeva la promessa di terre fertili. Ma al loro arrivo, i Rossi si trovarono di fronte a una foresta impenetrabile, dove il suolo vergine chiedeva ancora di essere dissodato. Gli alberi giganteschi dovevano essere abbattuti, i tronchi trascinati, e i campi preparati per la semina. Le prime settimane furono di esaurimento fisico e mentale. L'isolamento era totale; la famiglia più vicina viveva a chilometri di distanza, e il medico più vicino era a giorni di viaggio.

Ma Giuseppe non si scoraggiò. Al fianco di Maria, che non smetteva mai di sorridere, anche nei momenti più difficili, iniziò a lavorare. Le mani callose, abituate alla terra arida d'Italia, impararono a trattare con il fango e le pietre del nuovo mondo. Luigi e Clara, ancora bambini, aiutavano come potevano, raccogliendo frutti selvatici e imparando dai vicini emigranti la lingua portoghese.

Il primo inverno in Brasile fu una prova di fuoco. Il freddo, che mai avrebbero immaginato di trovare così a sud, penetrava attraverso il legno mal fissato della piccola casa che avevano costruito. Molti emigranti soccombettero alle malattie, alla solitudine e alla disperazione. Giuseppe temeva che anche la sua famiglia potesse essere travolta da quell'ondata di sofferenza. Ma la fede in Dio e l'amore che li univa li mantennero forti.

Poi, nella primavera successiva, avvenne il miracolo. Il primo raccolto, seppur modesto, riempì i loro cuori di gioia. Il grano dorato, che danzava al vento, simboleggiava non solo il sostentamento fisico, ma anche la realizzazione di un sogno. I Rossi, come molti altri, avevano finalmente trovato il loro posto nella nuova terra. E con il grano, arrivarono le vigne, i vigneti, il pane e il vino, simboli di una cultura che non avevano abbandonato, ma adattato e radicato in quel suolo lontano.

Gli anni passarono e le colonie italiane nella Serra Gaúcha fiorirono. Città come Caxias do Sul e Bento Gonçalves sorsero, erette dal duro lavoro degli emigranti. Giuseppe, ormai con i capelli grigi, guardava i suoi figli ormai adulti, proprietari delle loro terre, e sentiva il cuore riscaldarsi. L'Italia era lontana, in un altro continente, ma il Brasile era diventato la sua patria, dove i suoi nipoti sarebbero cresciuti, parlando portoghese e italiano, portando nel sangue la forza e la resilienza dei primi coloni.

Alla fine, i sogni degli emigranti italiani non furono solo aspettative di una vita migliore; divennero la realtà di un nuovo inizio, una nuova cultura e un nuovo Brasile. Giuseppe, Maria e i loro discendenti sono testimoni viventi che, anche in mezzo alle difficoltà e alle sfide, la fede e il lavoro possono trasformare una terra straniera in una casa, dove i sogni vengono piantati e raccolti, generazione dopo generazione.