terça-feira, 19 de março de 2024

Dalla trincea all'amore: La vita di un ex soldato austriaco e della sua infermiera italiana capitolo 2

 


Dalla trincea all'amore: La vita di un ex soldato austriaco e della sua infermiera italiana 
capitolo 2




Rodolfo si svegliò solo due giorni dopo. Non ricordava come fosse stato ferito né che i suoi amici fossero morti. Aprì gli occhi e trovò strano il luogo in cui si trovava, disteso in un letto d'ospedale, in un grande padiglione con altri uomini feriti nei letti vicini. Provava dolore e aveva la gamba e il braccio sinistri immobilizzati. Una grande benda copriva la sua testa. Lentamente iniziò a ricordare e si rese conto di essere stato ferito, ma non sapeva da quanto tempo fosse lì. Sentì persone parlare in italiano e sospettò di trovarsi in un ospedale nemico. Stava ricevendo cure eccellenti. Durante il giorno le infermiere venivano diverse volte al suo letto per somministrare iniezioni e cambiare le bende. Da loro seppe di essere già in quel ospedale di Padova da quattro giorni e di essere arrivato senza coscienza a causa della grande perdita di sangue. Era stato ferito alla testa, al braccio sinistro e alla gamba dello stesso lato. Quest'ultima era lacerata, rotta in due punti. Il giovane medico militare che lo curava spiegò che c'era ancora il rischio di perdere quella gamba se avesse preso la gangrena. Fu interrogato più volte dal personale militare specializzato che cercava informazioni utili sulle unità austriache e tedesche che erano trincerate poco oltre il massiccio del Grappa di fronte alle truppe italiane. Il fatto che Rodolfo parlasse fluentemente l'italiano facilitò molto la comunicazione con il personale dell'ospedale, specialmente con i medici e il personale infermieristico. Una giovane e gentile infermiera italiana, vestita con l'uniforme tradizionale delle "crocerossine", con un piccolo velo in testa, attirò molto l'attenzione di Rodolfo. Era molto premurosa e col passare dei giorni sembrava nutrire un'affezione speciale per quel ferito nemico. Scoprì che il suo nome era Mariana e che era nativa di Roncade, un comune non molto lontano da Treviso. Non riusciva a togliersi dalla testa quella bella infermiera e ogni giorno attendeva con ansia l'ora del suo turno. Con il passare dei giorni, Mariana cominciò ad interessarsi ancora di più a quel giovane austriaco, molto forte e bello. Iniziò a fare visite rapide a Rodolfo, al di fuori del suo turno, con la scusa di cambiare una benda o somministrare un farmaco. Sembrava che le piacesse stare in compagnia di quel giovane soldato. Nei fine settimana, quando poteva, veniva a trovarlo e passavano molto tempo a conversare, tanto che uno sapeva quasi tutto della vita dell'altro. Mariana era la terza figlia di una coppia con otto figli, aveva vent'anni e, commossa dal dolore dei feriti di guerra, aveva risposto alla chiamata del governo, arruolandosi due anni prima come infermiera volontaria della Croce Rossa a Padova. Dopo un corso intensivo di quasi un anno, con lezioni teoriche e pratiche, fu infine accettata come "crocerossina". Lavorava a tempo pieno, tanto era l'afflusso nel complesso medico ospedaliero di Padova, soprattutto perché ora era molto vicino al fronte, specialmente dopo la rottura delle linee italiane a Caporetto. La guerra durava già quasi tre anni e sembrava non dovesse finire mai. Migliaia di giovani feriti passarono per l'istituzione e diverse centinaia di loro furono assistiti da lei. Le infermiere alloggiavano in strutture collettive, vicino al complesso ospedaliero. Si alternavano tra i turni di lavoro diurni e i frenetici turni notturni. Avevano davvero un lavoro estenuante, non solo perché non erano in gran numero, ma soprattutto per la quantità di feriti che venivano portati lì. È comune, per vari motivi, che le infermiere si affezionino ai pazienti sotto la loro cura. Quando guariscono e vengono dimessi, è una grande gioia per loro, ma quando non sopravvivono alle ferite e muoiono, molte cadono in depressione. In quel servizio e in una guerra come quella, era necessario saper dosare i sentimenti per non soffrire. Ma non tutte ci riuscivano. Rodolfo fu operato più volte in quei trenta giorni di ricovero. Seppe che gli austriaci non erano più riusciti ad avanzare e che la fine per loro sembrava vicina. Ringraziò persino Dio per averlo liberato da quell'inferno che era diventato il fronte. Di notte, si svegliava sempre di soprassalto sentendo i rumori delle granate vicino a lui. Molti pensieri gli passavano per la testa e ricordava fatti che il nonno raccontava sempre. Sapeva, ad esempio, che tutta quella regione per cui stavano combattendo apparteneva già al regno d'Italia. Dopo le cosiddette guerre napoleoniche, nel 1815, con la firma di un trattato, tutto il sud del Tirolo passò sotto il dominio dell'impero austro-ungarico, che impose il suo governo nelle province di Trento e Bolzano, oltre ad altre in Friuli. Non accettava il fatto di essere ora in guerra contro gli italiani, popolo per il quale nutriva una particolare ammirazione, specialmente perché sua madre era italiana e i suoi nonni materni e molti altri parenti, zii e cugini erano italiani. Dormiva, e nei sogni incontrava Mariana. Era un amore che cresceva ogni giorno di più. Quasi due mesi di ricovero e la bella "crocerossina" era sempre al suo fianco. Eravamo già nel 1918 e un giorno, quando era stato portato fuori per prendere un po' di sole nel giardino dell'ospedale, sentì un granalvoroço nell'ospedale, con le persone che si abbracciavano, gridavano, alcuni ridevano e altri piangevano. Poi apparve Mariana che corse da lui, felice, annunciando che finalmente la guerra era finita. Con la battaglia di Vittorio Veneto, tra il 24 ottobre e il 3 novembre, si concluse il destino della guerra. L'Italia, con l'aiuto degli alleati francesi e inglesi, aveva sconfitto gli austriaci e i tedeschi. Fu creata la regione a statuto speciale del Trentino Alto Adige, che includeva tutto il Trentino e Bolzano, oltre a parte del Friuli, che tornarono ad essere territorio italiano, dopo più di cento anni di dominio austriaco. Da quel momento la città in cui viveva era italiana e non più austriaca. Rodolfo scriveva sempre dall'ospedale ai genitori e ai fratelli, ma non aveva mai ricevuto risposta e ciò lo preoccupava molto. In quelle lettere parlava sempre della giovane infermiera italiana che lo curava in ospedale e per la quale era innamorato. Una volta guarito, Rodolfo fu dimesso dall'ospedale, ma aveva ancora bisogno di cure per quella gamba ferita e non poteva appoggiarla. Con l'aiuto di un paio di stampelle camminava agilmente per l'ospedale. La relazione tra i due giovani non poteva essere nascosta per molto tempo, tutte le colleghe di Mariana sapevano tutto e sapevano che stavano uscendo insieme. Disse che sarebbe stato felice di conoscere i genitori di Mariana per chiederla in sposa e alla prima opportunità che lei potesse prendersi qualche giorno libero sarebbero andati insieme da loro.



Continua 
Tratto dal racconto "Da Trincheira ao Amor" 
di Dr. Luiz Carlos B. Piazzetta 
Erechim RS