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sexta-feira, 4 de abril de 2025

Le Remesse Económiche: Un Fiumicelo d’Oro Incredìbile

 


Le Remesse Económiche: Un Fiumicelo d’oro Incredìbile


I tempi de l’Otto e Novecento i ze stà segnà da un fenómeno straordinàrio che tanti de lori i ga descrito come na vera piova d’oro: el ritorno de capìtai verso l’Itàlia, generà da le remesse económiche de chi che ga dovù partir in serca de un futuro mèio. No ze stà mai fàssile stimar con pressision le dimenssion de sto fenómeno, parchè i dati ufissiài i conta solo le remesse “visibili”, come i vali internassionài, consolari e bancari. Tra el 1902 e el 1905, la mèdia anual de sti trasferimenti visìbili la ze stà de pì de 160 milioni de lire de quei tempi, ma ghe ze segnài che indica come el flusso reale el fusse ben pì grande.

Tante remesse le ze stà “invisìbili”, vale a dir quei schei che i emigranti i portava con lori durante i ritorni temporanei a casa, o che i afida a parenti, amissi o banchieri privà par farli rivar al loro destino. Sti schei i ze andà principalmente ´nte le zone pì poarete e marginai del paese, come el sud, dove la misèria la zera crónica, e le region montane del nord-est, come el Véneto, el Trentino e el Friuli, che a quei tempi i sofriva de gravi crisi agrìcole. Ne tanti casi, el ritorno de na remessa significava no solo miliorar el tenore de vita de una famèia, ma anche crear na spinta par altri de partir. El sònio de un futuro mèio, sostenù dai raconti e dai schei che i arivava, lori i zera na motivassion potente par i zòvani che i sercava de escapar da la fame.

Le remesse no le gavea un impacto solo su le famèie. Sti schei i ze stà fondamentai par sostegner l’economia italiana ´ntel so insieme. I ga aumentà la disponibilità de oro del paese, rinforsando la stabilità monetària, e i ga contribuì a crear le basi par el sgrandimento industrial, soratuto ´nte le region del nord. In tanti casi, i soldi mandài dai emigranti i ze servì par comprar tereni, pagar dèbiti agrìcoli, costruir case, scuole e anca pìcoli negosi. Le remesse le ze stà el filo che ligava chi ga restà in tera natìa con chi ga dovù partir.

Tra el 1876 e el 1915, pì de 14 milioni de italiani i ze emigrà. Le destinassion prinssipai le includeva el Brasile, l’Argentina, Stati Unii, ma anca paesi come el Canadà, l’Austràlia e el Sud Àfrica i ga ricevù tanti emigranti. Sto ésodo el ze stà guidà da motivi economici e sossiai. In Itàlia, le tere coltivabìli le zera poche, i racolti i sofriva per via de le crisi agrìcole, e i lavoratori i trovava poche oportunità par guadagnar na vita dessente. Altre cause ze stà le tasse alte, el sistema feudale che ancora el ga governà in tanti posti, e i contrasti polìtici che i crea instabilità e povertà.

I viài verso le nove tere no i zera sémplissi. Le condission de vita a bordo de le navi la zera teribili. I passegièri i se trovava amassài in spasi streti, con poca ària fresca e sibo scarso. Le malatie come el còlera, el tifo e el morbilo i spassava via tanti, soratuto i pì dèboli come i vèci e i putéi. Ma chi che rivava, anca dopo un viàio pien de sacrifissi, el trovava forsa par lavorar, come ´nte le piantagioni de cafè in Brasile, ´nte le pampas argentine o ´nte le fabriche americane.

Le remesse mandà da chi che lavorava de là la zera stà fondamentài. Ghe ze famèie che i ze riussì a riscatar le tere ipotecae, e altri i ze riussi a crear na picola impresa. Ne tanti paesi del sud Itàlia e del nord montan, sti schei i ze servì par costruir strade, scuole e cese. Sti interventi i ga portà no solo milioramenti materiai, ma anca speransa e orgòio par le comunità.

L’emigrassion de massa no la ze stada solo na tragèdia, con tanti che i ga lassià case e tere care, ma anca ´na spinta par l’Itàlia de quei tempi, che sensa sti aiuti i ghe sarìa restà intrapolà ´nte la so povertà. Chi partiva no se scordava da ndove che el vignia, e i schei che i mandava indrio i ghe ze stà segno de na lota comune par soraviver e par un futuro mèio.



sábado, 1 de fevereiro de 2025

Le Mani che Sostengono il Domani


 

Le Mani che Sostengono il Domani


Le colonie italiane nel sud del Brasile, piantate nelle terre vergini della Serra Gaúcha, non erano solo il frutto del lavoro degli uomini, che disboscavano la foresta e aravano il terreno. Le donne, con le loro mani callose e le anime resilienti, erano il fondamento invisibile, il pilastro silenzioso che sosteneva il futuro. Carmela, una di queste donne, con occhi che riflettevano il dolore della distanza e la luce della speranza, era diventata il simbolo stesso di questo sacrificio, di questa dedizione totale che manteneva in movimento gli ingranaggi della vita coloniale.

Da quando avevano lasciato il piccolo villaggio nella provincia di Veneto, il cammino di Carmela era stato un continuo esercizio di adattamento e rinuncia. Durante la traversata che li portò in Brasile, aveva perso sua madre nelle acque agitate del mare, ma non versò una lacrima. Sapeva che la sua responsabilità era più grande del lutto; era la forza motrice della sua famiglia. Una volta giunta alla colonia, il peso della nuova vita ricadde sulle sue spalle senza chiedere permesso. Suo marito, Pietro, affrontava il duro lavoro della terra, ma Carmela, con il ventre che cresceva ad ogni stagione, si occupava di tutto ciò che restava – la casa, i figli, gli animali e, quando necessario, anche il campo.

Carmela si svegliava prima del sole. Con il primo canto del gallo, era già in cucina, preparando il pane per la giornata. I suoi figli dormivano ancora, rannicchiati sotto coperte logore, e Pietro era uscito prima di lei per lavorare nei campi. I suoi piedi nudi, che si muovevano sul pavimento di terra battuta, facevano un lieve rumore che solo lei percepiva. I compiti domestici sembravano infiniti: il fuoco che non doveva mai spegnersi, il latte che doveva essere bollito, il maiale che richiedeva attenzione. Ma era il campo a chiamarla con insistenza.

Lì, accanto a suo marito, il lavoro manuale non faceva distinzione di genere. La zappa pesava nelle sue mani tanto quanto in quelle di Pietro. Ogni solco scavato nel terreno sembrava rubarle un po' di forza, ma lei manteneva il ritmo. Non era solo il corpo a piegarsi sotto il peso delle mansioni; anche la sua mente portava il fardello invisibile delle responsabilità. Era lei a pensare ai figli, che più tardi avrebbero corso tra le file di mais, giocando come se il mondo fosse eterno e immutabile.

Quando nacque la prima figlia, Teresa, Carmela si sentì esausta, ma il suo spirito si riempì di una forza nuova. Lì, tra i dolori del parto e la gioia della nascita, capì che essere donna in quella colonia significava essere il ponte tra il passato e il futuro. La maternità non era una scelta; era un dovere. Teresa, come gli altri suoi figli, avrebbe imparato fin da piccola a condividere le responsabilità della vita coloniale. Carmela, però, non lo vedeva come un'imposizione. Per lei, era l'essenza dell'esistenza, il ciclo continuo del dare e nutrire, che manteneva la ruota della vita in movimento.

La vita seguiva quel ritmo inesorabile. Tra le stagioni di semina e raccolto, la nascita di nuovi figli e le perdite che la colonia imponeva, Carmela continuava a scolpire, giorno dopo giorno, un'esistenza di sacrificio e perseveranza. Pietro, a volte, si perdeva in riflessioni silenziose, osservando quanto sua moglie si sobbarcasse, non solo sulle spalle, ma nel cuore. Sapeva che, senza di lei, non sarebbero arrivati così lontano. Non c'erano medaglie per lei, nessun riconoscimento pubblico. C'era solo il rispetto silenzioso di chi comprendeva il vero peso del suo cammino.

Con il passare degli anni, il volto di Carmela si indurì. Le rughe che comparivano intorno ai suoi occhi non erano solo segni del tempo, ma testimoni delle lunghe giornate, del dolore di seppellire amici e di vedere figli ammalarsi. Eppure, nel suo sguardo c'era una serenità incrollabile, come se sapesse che la sua missione fosse più grande di ogni sofferenza. I suoi figli crescevano forti e la colonia prosperava lentamente, con ogni casa che si alzava dal terreno come se germogliasse dalle mani callose delle donne che vi abitavano.

Quando scendeva la sera, dopo una lunga giornata di lavoro, Carmela riuniva i figli intorno al focolare. Raccontava storie dell'Italia, della vita che un giorno avevano lasciato, non con nostalgia, ma con gratitudine per aver trovato una nuova casa. Sebbene il Brasile fosse una terra di sfide, era anche il luogo in cui aveva messo radici. Ogni pezzo di legno che alimentava il fuoco sembrava risuonare con il ricordo degli antenati, e il calore che emanava scaldava non solo il corpo, ma l'anima della sua famiglia.

Alle feste della colonia, le donne, vestite con abiti semplici, sorridevano e ballavano al suono delle vecchie canzoni italiane. Per un breve momento, dimenticavano le durezze della quotidianità. Ma anche in quei momenti di gioia, gli occhi di Carmela tornavano sempre ai campi, alle responsabilità che attendevano l'alba. Sapeva che, a differenza degli uomini, che potevano riposare dopo il lavoro manuale, il suo impegno continuava. La casa non taceva mai, i figli non smettevano mai di richiedere cure.

Gli anni passarono e Carmela vide i suoi figli diventare adulti. Alcuni si sposarono e formarono le proprie famiglie, altri partirono in cerca di nuove opportunità. La colonia continuava a espandersi e, con essa, l'eredità delle donne che l'avevano costruita. Ora, con i capelli grigi e le ossa stanche, Carmela poteva guardare indietro e vedere tutto ciò che aveva costruito. Ma, anche così, il lavoro non finiva. Continuava a prendersi cura della casa, ad aiutare figli e nipoti, a trasmettere le sue storie e i suoi valori.

Guardando l'orizzonte, dove il sole tramontava dietro le colline, Carmela capiva che la sua vita era quella di tante altre donne che si erano sacrificate in silenzio. Non c'erano monumenti eretti in suo onore, ma i raccolti, le case e le famiglie erano la prova vivente della sua dedizione. Sapeva che il futuro, sebbene incerto, sarebbe stato plasmato dalle mani forti e invisibili delle donne immigrate. Quelle mani che, senza clamore, avevano innalzato il sogno di un nuovo mondo in terre lontane.

La colonia prosperava, ma Carmela e tante altre donne continuavano a essere le forze motrici invisibili. Mentre gli uomini venivano celebrati per le loro conquiste, loro erano le ombre dietro al successo, quelle che garantivano che tutto funzionasse, che la casa fosse sempre un rifugio sicuro. E così, silenziosamente, lasciarono il loro segno indelebile nella storia delle colonie italiane.


terça-feira, 3 de dezembro de 2024

L'Imigrassiòn Véneta in Brasile



 

L'Imigrassiòn Véneta in Brasile

"Gavemo lassà la nostra tera, no par volontà, ma par fame e disperassion; qua no ghe ze futuro, solo dolor."


Nte le ùltime dècade del ‘800 e scomìnsio del ‘900, miliaia de italiani gavé lassà la so tera natìa in serca de condission pì bée de vita. Na parte sgnificativa de sti imigranti vegniva dal Véneto, 'na regione al nord de l'Itàlia, na zona fortemente sbussà da 'na crisi económica devastante. Le dificoltà ´ntel'agricultura, alià con la disocupassion cressente e la fame, lori i ga reso insustentàbile la vita ´ntele pìcole vile e aree rurai taliane, forsando sti pòpoli a sercar un novo scumìnssio aldilà del mar.

La dessision de emigrar no el zera mia fàssile. Tanti italiani i se ga trovà con dover de vender quel poco che i gavea par pagar el biglietto par la traversada, afrontando el scognossesto. Quando i se imbarcava par el Brasile, i aspetava de trovar laoro, tera fèrtile e 'na oportunità de ricostruir la so vita, lontan da le pene che i afrontea in Itàlia.

El viàio el zera longo e periculoso. I vaporeti che portava sti migranti i zera quasi sempre stracarichi, con condissioni de igiene precàrie. La mancansa de ventilassion e la vissinansa tra i passegièri contribuiva a la diseminassion de malatie, come el morbilo, la vaiola e el tifo, che speso portava a morte durante la traversada. Nonostante ste adversità, la speransa de un futuro pì promissor in Brasil spingéa sti famèie a ndar avanti.

Quando lori i rivava in Brasil, tanti véneti i zera mandà in le colónie agrìcole nel sud, sopratuto ´ntel Rio Grande do Sul, dove ghe zera tera disponìbile da coltivar. El goerno brasilian, con intenssion de promover el sgrandimento de l'agricultura e de ocupar sti aree, ghe ofriva loti de tera ai migranti a presi basi e in diverse rate anuale, con qualche ano de carensa, sperando che le so abilità agrìcole aiutasse a far andar avanti le nove comunità.

In vece, quel che i trovava ´ntele colónie zera ben lontan dal paradiso promesso. Le condission i zera estremamente difìssili. El tereno assidentà e cuerto de foreste dense ghe richiedeva un laor durìssimo par èssar desbravà. L'isolamento geogràfico el zera un altro gran problema; i coloni i zera distanti un da l'altro, rendendo difìssile la creasion de reti de aiuto ressìproco. Sensa assesso a infrastruture basiche, come strade, scole e posti de salute, le famèie le dependéa dal pròprio spìrito de resistensa e da la comunità.

Oltre a le dificoltà fìsiche, le malatie le zera 'na costante minàssia. La mancanza de dotori e ospitali pegiorava la situassion, e le epidemie de malatie contagiose le zera frequenti. Le famèie, speso privà de conossense mèdiche e de risorse, perdeva i so cari par ste malatie, rendendo la adatassion a la nova tera ancora pì dolorosa.

Con el tempo, però, i coloni véneti i ga scumenssià a superar le dificoltà. L'agricultura la ze diventà la fonte prinssipale de sustento, e el coltivar de la vite, 'na tradission che i portava da so casa, la zera fiorì ´ntele colónie del Rio Grande do Sul. Caxias, Bento Gonçalves e Garibaldi, vècie colónie conossue come Dona Isabel e Conde D'Eu, le ze diventà poli de produssion de vin, trasformando la viticoltura in 'na atività prosperosa e sìmbolo del'identità taliana ´ntela region.

Col passare de i ani, ste comunità le ga scuminsià a crèsser. Ghe ze costrueva ciese e capele, no solo come posti de culto, ma anca come punti de incontro e de suporte emotivo, ndove i coloni i podea ritrovarse, contar le so esperiense e preservar le so tradission. Associassioni culturài, bande musicài e feste tìpiche taliane, come la Festa de l'Ua, le ze nate e le ga aiutà a mantegner viva la cultura vèneta in Brasile. Anca dopo tante generassion, tanti dessendenti i continua a parlar el vèneto in casa, e i piati tipici, come la polenta e el radìcio, i ze diventà parte de la cussina regionae.

La contribussion de ´imigranti véneti par la crèssita económico e sossiale del sud del Brasil a ze stà profonda. Oltre che int' agricoltura, tanti de sti coloni i ze destacà´ntla indùstria e ´ntel comércio, aiutando a trasformar picene vilete in sità prosperose. El laor duro, la resiliensa e la determinassion de ste famèie le ga formà el panorama del Rio Grande do Sul e le ga aiutà a costrùir la base del progresso che la regione la ga visto ´ntele dècade sussessive.

Incòi, el legado de i véneti el se vede in tanti aspeti dea cultura locale. Le so tradission le continua a èssar festegià in feste popolari, le so pratiche agrìcole le ze rispetàe e preservàe, e le so contribussion par el sgrandimento de lo stato le ze largamente riconossùe. I so descendenti, che incòi i ze integrà polito in la società brasiliana, i conserva con afeto la memòria de i so antenati, che i ga traversà l'Atlàntico in serca de 'na vita mèio e i ga contribuì a costrùir 'na nova patria.

Cusì, l'imigrassion vèneta in Brasil no la ze solo 'na stòria de lota e superassiòn, ma anche de gran contribussion culturae, sossial e económica, che la ga plasmà profondamente le regioni ndove sti coloni i se ga stabilì. El sacrifìcio e el laor duro de le prime generassion de imigranti i continua a rissonar ´ntele comunità taliane-brasiliane, la cui identità e tradission le resta vive anca incòi.





quarta-feira, 23 de outubro de 2024

Na Stòria de Vita

 


Na Stòria de Vita

Carmela la ze nassesta nel 1890, in te na pìcola frasion de la provìncia de Padova, in Itàlia, circondà de monti verdi e un fiume tranquilo. Fin da toseta, la gà imparà el valor de la famèia e del laoro duro, aiutando i so genitori ´ntel laoro nei campi e curando i fradèi pì pìcoli. Con alora 20 ani, qualchi ani prima de la Granda Guera, la se ga sposà con el sartor Michelle, un toso pien de sòni che ghe gà promesso na vita de aventure e amore. Insieme, lori i ze emigrà sùito dopo a São Paulo, in Brasile, che la zera deromai na grande sità, ndove i gà tirà su i so quatro fiòi in na casa modesta, ma sempre piena de risi, stòrie e con el olor consolante de la cusina casalinga.

Carmela la zera na gran cusiniera, conossùa par i so rotóli de carne mascinà e i so ovi farcì, che i fasea sempre festa ne le zornade de famèia. Oltre a questo, la so abilità nel pontacruzo trasformava teli semplici in òpere d’arte che ricamava la so casa e che i zera dati in regalo ai so cari. La vita la zera semplice, ma piena, e Carmela la zera fiera de vardar i so fiòi crèscer e intraprender la so strada.

Con el tempo, i fiòi i ze sposà e i gà avù i so fiòi. Carmela la ze diventà nona e, dopo, bisnona. La so casa, che una volta la zera silenssiosa, la se ze de novo impinì de risi de toseti e de stòrie contade intorno a la tola. Ma, con el passar de i ani, le visite le ze diventà sempre pì rare. I so nevòdi, ciapadi da le so vite, i gavea sempre manco tempo de vardarla. I fiòi, che i zera zà inveciài, i zera presi da le so responsabilità, e a la fine l’idea de vardar Carmela la ze diventà un peso che nessun parea pì disposto a portar.

Con la salute che la ze pegiorà e Michelle oramai morto, Carmela la ze stà portà in un ricovero par vèci. Là, in una stanza de 12 metri quadrati, la gà scomenssià a passar i so zornade. I mobili che i zera sui, i ze restà indrìo; solo qualche foto e ricordi i ze vignù con lei. Carmela, che la gavea 89 ani, la se catava circondada da zente sconossùa, in un ambiente che, anca se neto e ben organisà, ghe pareva fredo e lontan.

Lei tentava ancora de tegnerse ocupà con passatempo e parole incrosà, ma gnente la podea sostituir la giòia de gaver la so famèia visin. Le visite de i fiòi e dei nevòdi i ze diventà eventi sporàdici, e Carmela la se catava a contar i zorni par ogni visita, solo par restar delusa quando queste se fasea sempre pì rare. Ne le note solitàrie, la teneva le foto de la so famèia, tentandose de ricordar el calore de quei zorni che pariva tanto lontani.

Carmela la gà inisià a coinvolgersi ne le atività del ricovero, aiutando chi stava peso. Ma lei savéa che no dovea atacarse massa, parchè la vedea spesso questi novi amici sparir, portài via da la morte. La solitudine la ze diventà na so compagna constante, e Carmela, no ostante tuto, la tentava de mantegner la speransa e la dignità.

Ne le so riflession, Carmela la se domandava el senso de na vita longa, specialmente quando la ze vissùa in solitudine. Lei pensava a le generassioni pì zovani e a quel che lori i podea imparar da la so esperiensa. La famèia, lei la credeva, la ze la base de tuto, e la dovea èsser curada e preservada con amore e dedissione. Lei sentiva che la so vita, anca se longa, la stava rivando a la fine, ma la sperava che la so stòria la podesse servir de lession par quei che sareve vignùdi dopo de lei.

Carmela no la gà mai portà rancore, ma la sentiva na tristessa profonda par vardar la so vita, che na volta la zera tanto piena de significà, ridota a la spetativa de la fine. Lei ghe desirava che i so fiòi lori i capisse el valor del tempo, che i se ricordasse de l’amore che lei ghe gavea dà e che lori ghe lo restituisse fin che l’era ancora possibile. Lei savéa che la morte la zera inevitàbile, ma la ghe desirava che i so ùltimi momenti i fusse circondà de amore, no de muri vuoti.

Nei so ùltimi zorni, Carmela la vardava le foto, sussurrando orassioni silenssiose. Lei savéa che presto la se saria reunida con Michelle e con i amici che lei gavea perso lungo i ani. E, con un sospiro, la acetava el so destin, desiderando solo che la so vita, anca ne i ùltimi momenti, la ghe gavessi algun significà par quei che lei gavea amà.





quinta-feira, 3 de outubro de 2024

El Bastimento de la Speransa


 

El Bastimento de la Speransa


La nèbia la stava sora el porto de Zénoa come un velo de luto, smorsando i sussùri e i singhiossi de quei che i se salutea. L'omo el strensea la man de la mòier, sentindo el fredo de lo metal de l'anelo de nosse. A fianco a lori, tre fioi i vardea verso ´l orizonte, dove el gran Atlantico el prometea na vita nova, mentre so mare, na vedova, la ze conossuda in famèia come nona Pina, la teneva i òci bassi, coprindo el despiasere che ghe cresseva dentro el cor. Le strade strete de Vicensa, la piasa dove che i ze ga cresseuda, la cesa dove che i s'e ga maridà, tuto quanto restea drio, ridoto a dolorosi ricordi.

El Brasil, l'El Dorado, el zera un siono lontano, zera sta vendù da i agenti de l'imigrassion come a tera de le oportunità. Ma par l'omo, che gavea tacà come na necessità de scampa via da la fame e de la misèria, ogni chilòmetro che i passea in mar, el se trasformea in na scielta amara, ´n tradimento silensioso verso le radisi che mai avaria smesso de sanguinar.

In quel longo e tempestoso viàio, le speranse lore i se mescolava con la paura. Le onde de l'Atlantico, nervose, le rivea come na tempesta de emosioni che prendea conto di quele anime esiliate. Le note se riempiva de sòni interompi, incubi in dove la pàtria la parea scampare sempre pi lontan. In fondo ai pensieri, l'incertessa restea: gavea lori fato la scielta giusta de lassar la tera natìa?

Quando che i ze drio sbarcà al porto de Rio Grande, li gavea recevù un caldo pesante e na lèngoa sconossùa che parea un ingropar de sònio. El lungo viàio col batèl sul Rio Jacuì fin a la colònia taliana su in Siera Gaucha, la zera dura e faticosa, su strade che no ghe zera e streti  sentieri tra la foresta fissa. La tera, la parea bona, ma la volea un gran laor par domarla, le sfide le zera tante e i ghe spontea fora da ogni canton. L'omo el sentiva el peso del mondo sora le so spale; la promesa de na vita nova la s’avea disfà presto, davanti a la dura realità per tirar zò la mata, coltivar un tereno rebel e soportar le malatie tropicai.

La mòier, sempre forte e taciturna, la curava la casa improvisà con na dignità che impressoava tuti quei atorno. La tenea vive le tradissione vènete, proveva a cusinar i piati che ghe faceva ricordar i savori de casa, ma el gusto el pareva mancar sempre. La nona Pina, par so parte, vardava i zorni passar lenti, consumà da na nostalgia che la parea un cancro in te l'anima. La soniava el ritorno, le strade de sassi, le ose conossùe, ma lei la savea, ´ntel fondo, che no ghe saria pi rivà.

I primi mesi in colònia i zera segnalà da privassion e laor che no finìa mai. I fioi, ancora pìcoli, i s'imparava a conviver con el fango e con la duressa de la vita in colònia. L'omo e la mòier lori i lavorea sodo da la matina a la sera, rebaltando la foresta, tirando su le serche, provando a domar na tera che no la volea farse comandar. La sera, quando che tuti i dormiva, el se permeteva de vardar in su verso el celo pien de stele e imaginarse che, in qualche posto lontano, el so paese ´ntel´Itàlia lu zera ancora là, soto el stesso ciel, che lo aspetea.

El inverno in Siera Gaucha el zera impietoso. La famèia, anca se zera costumà ai gèlidi inverni ntel Vèneto, la sentiva el fredo taiar el corpo e l'ànima par la mancanza de un riparo pì solido. I vestiti i zera de poco conto, le case mal costruìe, lassava passar el vento gèlido e le reserve par magnar le zera sempre meno. La mòier curava i fioi come podèa, covandoli ´ntel caldo de le coerte, contandoghe storie atorno al fogo par scaldarghe el corpo e l'ànima.

Le zornade le passea lente e la nostalgia la ghe diventea na compania costante. De note, la nona la sussurava preghiere in vèneto, con le man tremanti che strengea el rosàrio come se fusse l'ultimo fil che la ghe teneva con la tera che la gavea tanto amà. I fioi, anca se pìcoli, lori percepiva el peso de quel càrico invisibile che i so pari i gavea in dosso. I crescea tra do mondi: quel de le storie e cansoni vènete, e quel de la realtà dura e spietà de el Brasil.

Con el tempo, la colònia la se ga trasforma in un posto de contrasti. Da na parte, adesso lori i lavorea su la pròpia tera, no dipendea pù da paroni e no gavea pi da dividere le racolte. Ghe zera la promessa de na vita nova, de prosperità e de un futuro mèio par i fioi. Ma da l'altra parte, la realità la zera ogni zorno na batàlia, na lota contro la natura, contro la distansa, contro la nostalgia. La tera che prometea tanto, la ghe dava poco. I campi che dovea fiorir con le viti e el formento, i zera pien de erbace e de sassi.

Ogni létera che rivava aumentea el rimpianto con le notìsie de i parenti che i ga restài ´ntela Itàlia. Le  feste e le celebrassion a quei che lori adesso no partecipea pi, tuto questo ghe serviva par ricordarghe che loro i zera lontani, ben lontani da casa. El ritorno, che prima parea na possibilità vera, con el tempo el diventea un sònio sempre più distante. I risparmi che dovea servire par tornare indrio, i zera consumai in robe de prima necessità: strumenti de lavoro, medecine e principalmente magnar.

I fioi, cressendo tra la cultura vèneta dei pari e quela brasiliana che ghe stava atorno, i gavea tacà a perder la ligassion con la tera de i noni. I parlea un portoghese con un acento strano, mescolà co parole vènete che no ghe se capiva par i altri colòni. Zera na identità che se stava formando, na mescolansa de do mondi che mai i se saria incastrai pròprio.

L'omo el vardea sto processo con tristessa. El vardea i so fioi che pian pian se lontanava da le tradission che lui el gavea sempre custodì. El desidèrìo de tornar in Itàlia el zera diventà un peso che ghe schiaciava el còr. Ogni ano che passea, la realità ghe zera che lori no i saria mai tornà a casa, la se faceva sempre più ciara. L'Itàlia, con le so coline verdi e i vigneti, no zera pi na scòlia. Lori i zera rimasti intrapolai in na tera che no i ghe gavea mai dado un vero benvenuto, ma che nemeno i ghe la podéa lassar.

El tempo el portea pi dificoltà, ma anca un senso de amission. La mòier, che prima la lotava contro la realità, adesso la se rassegnava. Lei la ga  trovà forsa in la famèia, in la securansa che, no ostante tuto, lori i zera ancora insieme. La nona, 'ntel so leto de morte, la gavea domandà na sola roba: che, dovunque che i fusse sepultài, na mancià de tera vèneta la ghe fusse messa sora el so corpo, parché, anca dopo la morte, lori restasse ligài al posto che i gavea tanto amà.

Con el tempo, la colònia la comìncia a prosperar. Le prime racolte le zera modeste, ma bastea par nutrir la speransa. I coloni i se dava una man l'un con l'altro, creandose na comunità dove lo spìrito de solidarietà ghe zera forte tanto quanto l'amor par la pàtria lontana. La cesa, alsà con l´ impegno de tuti, diventea el cuor de la colònia.

quarta-feira, 28 de agosto de 2024

Il Viaggio di Antonio Mansuetto



Nel 1946, subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il piccolo comune di Marano di Castelnovo, in Emilia Romagna, stava lentamente riprendendosi dalle devastazioni del conflitto. Antonio Mansuetto, un giovane avventuriero di 34 anni, aveva deciso che il suo destino si trovava oltre i confini dell'Italia. Con uno spirito indomabile e un ardente desiderio di esplorare terre lontane, Antonio lasciò la sicurezza della sua casa e della famiglia per cercare fortuna in terre sconosciute.

Con una solida formazione come meccanico-elettricista e un'esperienza preziosa prestata all'esercito italiano, Antonio possedeva le competenze e la determinazione necessarie per prosperare. Il Brasile, allora in piena fase di crescita industriale, offriva opportunità che sembravano fatte su misura per le sue abilità. Con pochi soldi risparmiati e una speranza illimitata, imbarcò su una nave verso l'ignoto.

San Paolo, la vibrante metropoli sudamericana, accolse Antonio con l'energia frenetica di una città in trasformazione. Trovò rapidamente lavoro nell'industria dell'acciaio, nella siderurgia nazionale, un settore in espansione. La sua esperienza fu ben accolta e, col tempo, si stabilì nella città. I suoi primi anni furono caratterizzati da una serie di cambiamenti di residenza, ma il destino sembrava sempre condurlo al quartiere del Bixiga, dove la comunità italiana era forte e accogliente.

Il Bixiga, noto per le sue case di commercio italiane e l'immersione culturale, divenne la nuova casa di Antonio. Fu lì che incontrò Maria, una donna affascinante che condivideva le sue radici italiane e i suoi sogni di una vita migliore. Si sposarono e formarono una famiglia, avendo quattro figli e, infine, dieci nipoti. La vita di Antonio fu segnata da duro lavoro, dedizione alla famiglia e una profonda gratitudine per le nuove opportunità.

La pensione, a 65 anni, portò ad Antonio la possibilità di riflettere sul suo viaggio. Si ritirò con orgoglio, ma non smise mai di essere attivo nella comunità. I suoi figli e nipoti erano la sua gioia più grande, e si dedicò a trasmettere i valori e la cultura italiana che amava tanto.

Antonio Mansuetto morì a 91 anni, lasciando un'eredità di duro lavoro e determinazione. La sua storia è una testimonianza dello spirito avventuroso e della capacità di trasformare le sfide in opportunità, sempre con uno sguardo rivolto a un futuro migliore.



sábado, 24 de agosto de 2024

O Fim de uma Promessa


 


O Fim de uma Promessa

Em um pequeno vilarejo tendo ao fundo as majestosas montanhas dolomitas, em Belluno na região do Vêneto, Giovanni e Maddalena viviam modestamente, mas com dignidade. Pequenos trabalhadores rurais, trabalhavam como meeiros para um proprietário de terras. Passavam os dias cuidando da pequena propriedade e do rebanho do patrão, mas o que ganhavam mal dava para sustentar a família. A situação na Itália estava ficando cada vez mais difícil. As colheitas escassas, o aumento dos impostos e a falta de melhores oportunidades alimentavam o desespero. Foi então que começaram a chegar notícias sobre terras promissoras no Brasil, onde um homem trabalhador poderia prosperar.

Giovanni, com o coração dividido entre a esperança e o medo, tomou a decisão de emigrar. Venderam tudo o que tinham para pagar as passagens e, com poucos pertences, embarcaram em Gênova num navio abarrotado de outros italianos igualmente desesperados por uma nova vida. O destino? A colônia Nova Itália, em Morretes, no Paraná.

A viagem pelo Atlântico foi longa e penosa. No porão do navio, as condições eram insalubres, e muitos adoeceram. Maddalena, grávida, sofria com enjoos constantes, mas não deixava a esperança esmorecer. Giovanni, por sua vez, tentava manter o ânimo, mas as incertezas o corroíam. O que realmente os aguardava do outro lado do oceano?

Após semanas de travessia, avistaram o porto de Paranaguá, após antes já terem passado pelo porto do Rio de Janeiro, onde regularizaram a situação no país. Desembarcaram com alívio, mas a realidade logo os atingiu. A promessa de terras férteis e uma vida próspera em Nova Itália logo se mostrou uma ilusão. A curta jornada de Paranaguá a Morretes foi marcada pelo silêncio apreensivo. Ao chegarem à colônia, foram recebidos por um cenário desolador: a terra era ingrata, coberta por vegetação densa e pedras. O clima quente típico de litoral propiciava o aparecimento de insetos de todo o tipo que infernizavam a vida de todos. Entre eles os mosquitos e os bicho-de-pé eram os piores. As ferramentas que lhes forneceram eram escassas, faltavam sementes e o apoio da administração da colônia, inexistente.

Nos primeiros meses, Giovanni e Maddalena lutaram para sobreviver. Derrubaram árvores, drenaram pântanos, queimaram a mata e tentaram preparar o solo para a plantação. As promessas de apoio nunca se concretizavam. Os alimentos eram escassos, e a saúde de Maddalena, debilitada pela gravidez e pela exaustão, começou a piorar. Giovanni fazia o possível, mas sentia-se impotente diante do sofrimento da esposa.

Quando finalmente o primeiro filho do casal nasceu, a alegria foi ofuscada pela desnutrição e pelas doenças que assolavam a colônia. Muitos imigrantes, como eles, já haviam desistido e deixado o lugar em busca de melhores condições em outras partes do Brasil. Giovanni, no entanto, relutava em abandonar a terra pela qual tanto havia lutado.

A colônia começou a definhar, segundo conversas entre os colonos, devido à má administração. As famílias que ainda resistiam enfrentavam a falta de comida e a solidão. Os relatos de falência da colônia Nova Itália começaram a circular, e logo se tornou claro que o projeto estava condenado. Giovanni, com o coração pesado, percebeu que não restava outra opção senão partir.

Em vez de retornarem a Paranaguá, como alguns fizeram, Giovanni e Maddalena decidiram subir a Serra do Mar. Ouvindo histórias de tropeiros que por ali passavam e de outros colonos que haviam encontrado melhores oportunidades nas terras férteis ao redor de Curitiba, decidiram tentar a sorte mais uma vez. Com o filho nos braços e o pouco que restava de suas economias, enfrentaram a subida íngreme e desafiadora da serra.

Ao chegarem à periferia de Curitiba, encontraram terras à venda. Embora fossem simples e desmatadas, essas terras eram muito férteis e representavam uma nova chance. Giovanni e Maddalena compraram um pequeno lote e começaram novamente. A vida na capital paranaense também não era fácil, mas Giovanni e Maddalena, com muito trabalho e determinação, começaram a cultivar o solo que haviam adquirido. O clima era muito bom, parecido com aquele que deixaram para trás na Itália. Dedicaram-se ao cultivo de hortaliças e outros produtos agrícolas, transformando o terreno antes um campo em um pequeno jardim produtivo. Todos os dias, carregavam a carroça com suas colheitas frescas e, ao invés de vender nos mercados locais, percorrendo as ruas de Curitiba, Giovanni e Maddalena vendiam diretamente aos consumidores. Iam de porta em porta, visitando os fregueses que rapidamente passaram a confiar na qualidade dos produtos que ofereciam. A relação próxima com os clientes e a atenção aos detalhes permitiam que, mesmo em tempos difíceis, sempre houvesse demanda para os produtos do casal. O lucro, embora modesto, era suficiente para sustentar a família e proporcionar-lhes uma vida digna.

Com o tempo, o que começou como uma simples tentativa de sobrevivência se transformou em uma base sólida para o futuro. Giovanni e Maddalena finalmente encontraram a prosperidade que tanto haviam buscado, não nas grandes promessas de outrora, mas na humildade de um trabalho árduo e no amor à terra.

Com o passar dos anos, Giovanni e Maddalena se integraram à comunidade de outros imigrantes italianos na região, criando raízes e vendo sua família crescer. A falência da colônia Nova Itália ficou para trás, como uma lembrança amarga de um sonho que não se concretizou, mas também como um símbolo de sua resiliência.

Assim, em um novo pedaço do Brasil, Giovanni e Maddalena, como tantos outros imigrantes, encontraram finalmente um lugar para chamar de lar. Sabiam que a verdadeira riqueza não estava nas promessas de terras distantes, mas na capacidade de superar adversidades e construir um futuro, mesmo quando os sonhos originais se desfazem.


domingo, 18 de agosto de 2024

Sonhos em Terra Nova: A Jornada dos Imigrantes Italianos no Rio Grande do Sul



No final do século XIX, a Itália, então um reino recém unificado, estava marcada pela diminuição drástica de trabalho, pobreza e pelo desespero. A falta de empregos no campo trazia para as pequenas cidades levas de famílias em busca de uma vida nova que o país, por falta de recursos, infelizmente, não podia oferecer. Trento, Vêneto e Lombardia eram regiões particularmente afetadas pela crise econômica que assolava o país. As terras eram secas em algumas zonas e sofriam com inundações em outras, sendo a fome um inimigo constante, especialmente nas zonas montanhosas, acostumadas  a séculos com essas dificuldades. Entre as aldeias e vilarejos, a esperança de melhora era uma mercadoria escassa. No entanto, o rumor de uma terra prometida, do outro lado do oceano, começava a se espalhar como um bálsamo para aqueles que lutavam pela sobrevivência.

Giovanni e Maria, pequenos trabalhadores rurais, moradores em uma vila de Trento, viviam com seus três filhos – Carlo, Lucia e Antonio – em uma velha e precária casa, que a família ja não tinha recursos para os devidos reparos, mas, por outro lado, cheia de sonhos. Giovanni, como agricultor lutava contra a terra ingrata, a inclemência do clima e os preços baixos dos grãos que colhia e dos poucos produtos que conseguia obter, sentia agora que sua família estava à beira do desespero. Ao ouvir histórias sobre a vastidão das terras brasileiras e as oportunidades que se abriam no Novo Mundo, decidiu que era hora de buscar um futuro melhor. Com apenas alguns poucos bens e muito mais esperança, a família se preparou para deixar para trás o que conheciam e partir rumo ao desconhecido.

Enquanto isso, em Treviso, Elisa e seu pai, Giuseppe, estavam imersos em um sentimento de perda e esperança. Giuseppe, um viúvo marcado pela dor da perda recente de sua esposa, viu na emigração uma chance de dar a sua filha uma vida que ele não podia mais proporcionar na Itália. Eles embarcaram em um navio, cheios de expectativas e com o coração pesado pela despedida, rumo ao Brasil.

Na Lombardia, a situação era igualmente desesperadora. Luigi, um jovem artesão, viu a emigração como a única saída para mudar sua sorte e garantir um futuro melhor para seus irmãos mais novos. O navio que os transportava estava cheio de pessoas como ele – homens e mulheres que, carregavam consigo sonhos e esperanças.

A travessia para o Brasil não foi fácil. O oceano, imenso e imprevisível, desafiou a resistência dos imigrantes com tempestades e doenças. A comida era escassa e as condições de vida, precárias. No entanto, a fé e a determinação mantiveram todos em frente. A promessa de um novo começo estava sempre presente, um farol na escuridão das dificuldades.

Quando os navios finalmente chegaram ao Brasil, a visão que se apresentava era muito diferente daquilo que haviam imaginado. Os portos estavam abarrotados de pessoas, a vegetação era densa e o calor, abafante. Os imigrantes foram distribuídos em várias regiões, mas foi no Rio Grande do Sul que encontraram a maior concentração de novas colônias.

As colônias de Caxias do Sul, Dona Isabel e Conde d'Eu foram fundadas com o propósito de oferecer terras e condições para que os imigrantes pudessem prosperar. No entanto, a adaptação à nova vida não foi fácil. As terras eram vastas e selvagens, e a infraestrutura era quase inexistente. A comunicação com o mundo exterior era limitada e os primeiros anos foram marcados por um intenso esforço para transformar a mata virgem em campos férteis.

Giovanni e Maria enfrentaram o desafio com coragem. A família começou a desbravar a terra, com Giovanni trabalhando a terra e Maria cuidando da casa e dos filhos, além de ajudar o marido no pesado trabalho da roça. As dificuldades eram muitas, mas o trabalho árduo e a esperança de uma colheita promissora eram a motivação diária. O clima quente e as doenças desconhecidas representavam desafios constantes, mas a perseverança da família era inabalável.

Elisa e Giuseppe por sua vez, lutaram para se estabelecer em sua nova casa. Encontraram apoio em outros imigrantes e, juntos lentamente, foram formando uma pequena comunidade. Giuseppe usou suas habilidades agrícolas para cultivar a terra, enquanto Elisa cuidava da casa e procurava fazer amizade com os vizinhos para se adaptar à vida nas colônias.

Luigi e seus amigos enfrentaram desafios semelhantes. A terra era rica, mas o trabalho era intenso. Sua aptidão na construção foi útil, encontrando nesse setor o se ganha pão. As condições em que viviam eram duras e a grande distância entre as famílias aumentava o sentimento de isolamento. No entanto, a camaradagem entre os imigrantes ajudava a superar as dificuldades. Além do trabalho na construção, se dedicava com afinco na pequena roça e a primeira colheita foi uma grande conquista. O sentimento de realização começou a brotar, mesmo diante das adversidades.

Com o tempo, os imigrantes italianos começaram a ver os frutos de seu trabalho. As colônias prosperaram, e as terras, uma vez inóspitas, transformaram-se em áreas férteis e produtivas. As dificuldades iniciais foram superadas pela determinação e pelo espírito de comunidade. Os laços entre os imigrantes se fortaleceram, e a vida nas colônias tornou-se cada vez mais gratificante.

O legado dos imigrantes italianos no Rio Grande do Sul é uma história de resiliência e superação. Eles chegaram em busca de uma vida melhor e, através de trabalho árduo e determinação, conseguiram transformar suas vidas e a terra em que estabeleceram suas raízes. Hoje, suas contribuições são celebradas e a influência italiana é uma parte fundamental da cultura e da história da região. A saga dos imigrantes italianos é um testemunho poderoso do espírito humano e da capacidade de transformar desafios em conquistas duradouras.


domingo, 2 de junho de 2024

Dalla Terra del Po al Cuore del Brasile: Un Viaggio di Speranza e Sacrificio


 


Dalla Terra del Po al Cuore del Brasile: Un Viaggio di Speranza e Sacrificio

La Partenza da San Benedetto Po

Matteo Rossi e sua moglie Rosetta si stringevano l'un l'altra mentre camminavano per le strade strette di San Benedetto Po, un piccolo paese della provincia di Mantova. Era una mattina fredda di gennaio e il vento soffiava attraverso i vicoli, portando con sé l'odore familiare del fiume Po. Con loro, tenevano per mano i loro due bambini, Daniele di quattro anni e la piccola Rosina, di due anni e mezzo. La decisione di lasciare il loro amato paese non era stata facile, ma la povertà e la mancanza di lavoro li avevano spinti a cercare una vita migliore lontano, in Brasile.
Nel piccolo cortile della casa di famiglia, i parenti si erano riuniti per salutare Matteo, Rosetta e i bambini. Gli zii, i cugini, tutti con volti segnati dalla fatica e dalla preoccupazione. Matteo abbracciò suo padre Antonio e sua madre Maria, sapendo che forse non li avrebbe mai più rivisti. "Prometto che vi scriverò appena possibile", disse, cercando di nascondere le lacrime che gli bruciavano gli occhi.
La stazione di Mantova era affollata di gente come loro, con valigie di cartone legate con lo spago e sacchi di tela pieni di ciò che potevano portare con sé. Salirono sul treno che li avrebbe portati a Genova, dove avrebbero preso il piroscafo per il Brasile. Durante il viaggio in treno, i bambini si addormentarono sulle ginocchia dei genitori, mentre Matteo e Rosetta guardavano fuori dal finestrino, osservando i paesaggi familiari che svanivano lentamente.

Il Viaggio in Nave

A Genova, il porto era un mare di umanità in movimento. Famiglie intere, gruppi di giovani, anziani e bambini si accalcavano intorno al molo, in attesa di imbarcarsi. Il piroscafo che li avrebbe portati in Brasile era una grande nave di ferro, il cui nome, "Speranza", sembrava promettere un futuro migliore.
Il viaggio in mare fu tutt'altro che confortevole. La nave era sovraffollata e le condizioni a bordo erano precarie. Le cuccette erano strette e i passeggeri dovevano condividere lo spazio con altre famiglie. L'aria era satura di odori sgradevoli e il cibo scarseggiava. La traversata dell'Atlantico durò settimane, con il mare che spesso diventava turbolento.
Una notte, una tempesta colpì la nave con violenza. Il cielo era coperto di nuvole nere e il vento ululava attraverso le strutture di metallo della nave, facendo scricchiolare il legno e i cavi. Le onde gigantesche si infrangevano contro la fiancata della nave, sollevandola e poi facendola precipitare nelle profondità dell'oceano come un giocattolo.
All'interno della stiva, la paura si diffuse rapidamente tra i passeggeri. Le madri stringevano i loro bambini, cercando di proteggerli dall'incessante movimento della nave. Matteo abbracciò Rosetta e i bambini, sentendo il cuore battere furiosamente nel petto. Ogni volta che la nave si inclinava pericolosamente, sembrava che potesse capovolgersi da un momento all'altro. I bambini piangevano spaventati e le preghiere e i pianti dei passeggeri riempivano l'aria.
"Luce della mia vita, proteggi i nostri piccoli," sussurrò Rosetta, la sua voce tremante di terrore. Matteo non riusciva a trovare parole di conforto; poteva solo tenere stretta la sua famiglia, sperando che la tempesta passasse presto. Ogni minuto sembrava un'eternità mentre la nave lottava contro le forze della natura.
Il capitano e l'equipaggio facevano del loro meglio per mantenere la nave in rotta, ma la tempesta era implacabile. Fulmini squarciavano il cielo, illuminando brevemente i volti pallidi e spaventati dei passeggeri. La pioggia cadeva a torrenti, filtrando attraverso ogni fessura e creando pozzanghere sul pavimento della stiva.
Dopo ore che sembravano interminabili, la tempesta iniziò finalmente a placarsi. Le onde, sebbene ancora alte, persero un po' della loro furia. La nave smise di essere sbattuta da un lato all'altro e il suo movimento divenne più stabile. Lentamente, i passeggeri iniziarono a rilassarsi, sebbene il terrore di quella notte rimanesse inciso nei loro cuori.
Matteo e Rosetta, esausti ma sollevati, si accasciarono l'uno accanto all'altro, cercando di calmare i bambini. "Ce l'abbiamo fatta," disse Matteo con un sospiro di sollievo. "Siamo ancora vivi." Rosetta annuì, gli occhi ancora lucidi di lacrime, ma con una scintilla di speranza. Avevano superato la tempesta e, insieme, potevano affrontare qualsiasi cosa li aspettasse nel loro nuovo mondo.

L'Arrivo in Brasile

Finalmente, dopo giorni che sembravano interminabili, la costa brasiliana apparve all'orizzonte. La nave attraccò all'Isola delle Flores, nel porto di Rio de Janeiro. Matteo e Rosetta scesero dalla nave, tenendo stretti i loro bambini, mentre un impiegato della dogana brasiliana controllava i loro documenti.
Furono condotti alla Hospedaria dos Imigrantes, un grande edificio dove gli immigrati trovavano rifugio temporaneo. Le condizioni erano spartane, ma per la prima volta da settimane, potevano dormire su letti veri e mangiare un pasto caldo. Dopo alcuni giorni di attesa, furono imbarcati su un'altra nave, che li avrebbe portati al porto di Santos.

Taubaté e la Fazenda Girassol

A Santos, furono accolti dal capataz delle fazendas che li avrebbero condotti nelle piantagioni di caffè. Matteo e Rosetta, insieme ad altri membri della loro famiglia, furono assegnati alla Fazenda Girassol, situata nella fertile valle del Paraiba, nel comune di Taubaté. Il viaggio in treno attraverso São Paulo fu lungo e stancante, ma la vista dei vasti campi verdi che si estendevano all'infinito dava loro speranza.
Alla piccola stazione di Taubaté, li attendevano delle carrozze mandate dai proprietari delle fazendas. Durante il tragitto verso la loro nuova casa, Matteo osservava il paesaggio, cercando di immaginare il futuro che li aspettava. La Fazenda Girassol era una vasta proprietà, con quasi un milione di piante di caffè. Per alloggiare gli immigrati, c'era una serie di piccole case di legno, la maggioranza antiche abitazioni che in precedenza erano usate dagli schiavi.
La loro nuova vita iniziò all'alba del giorno seguente. Il lavoro nei campi di caffè era estenuante e iniziava alle sei del mattino, proseguendo fino al tramonto. Matteo e Rosetta lavoravano fianco a fianco, tenendo sempre d'occhio i loro bambini che riposavano all'ombra dei cafeeiros. Le giornate erano lunghe e dure, e il contratto di lavoro era rigido e severo.

La Speranza di un Futuro Migliore

Dopo quattro anni di lavoro intenso e risparmiando ogni centesimo, Matteo e Rosetta riuscirono finalmente a comprare un piccolo terreno alla periferia di Taubaté. Erano orgogliosi dell'acquisizione: ora sarebbero stati padroni, un sogno coltivato da diverse generazioni di antenati. Durante il periodo in cui vivevano nella fattoria, la famiglia si era allargata con la nascita di altri due figli, che avevano chiamato Antonio e Maria, in onore dei genitori di Matteo.
Lasciare la fazenda non fu facile. Con la scadenza del contratto di lavoro di quattro anni e dopo aver saldato tutte le loro debiti, furono liberi di iniziare una nuova vita. Il loro nuovo terreno rappresentava una nuova speranza, un futuro che potevano costruire con le proprie mani. Matteo trovò lavoro in una delle nuove fabbriche che stavano sorgendo nella città, mentre Rosetta si occupava della casa e dei bambini.
La vita in città era diversa, ma portava con sé nuove opportunità. I bambini iniziarono a frequentare la scuola e impararono il portoghese, integrandosi nella nuova comunità. Matteo e Rosetta non dimenticarono mai le loro radici italiane, ma abbracciarono con gratitudine la nuova vita che avevano costruito in Brasile.
Così, con determinazione e sacrificio, Matteo e Rosetta riuscirono a trasformare un sogno in realtà, costruendo una nuova vita per loro e per i loro figli, in una terra lontana ma piena di promesse.