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sábado, 6 de abril de 2024

L'Avventura di Maria: Tra Sogni e Realizzazioni

 


Maria Calabroni cresceva nel cuore del pittoresco villaggio di Catanzaro, circondata dalle strade lastricate che portavano con sé i sussurri ansiosi degli abitanti. Era la fine del XIX secolo, un'epoca tumultuosa di grandi cambiamenti. La Grande Emigrazione agitava le menti e i cuori di tutti coloro che desideravano un futuro oltre i confini noti.
Figlia di un modesto fabbro, Maria era una giovane tessitrice con gli occhi colmi di sogni. La sua vita prese una svolta decisiva quando una lettera ingiallita, con il timbro di un lontano parente in America, giunse tra le sue mani, sigillando il suo destino con la promessa di opportunità brillanti al di là dell'oceano.
Accanto ad altri aspiranti emigranti, Maria si imbarcò in un viaggio incerto verso l'ignoto. L'addio al suo amato villaggio fu segnato da lacrime e abbracci stretti, il ricordo di quei momenti risuonava nel cuore di Catanzaro come un'eco persistente. La storia di Maria si intrecciava con quella di molti altri, tutti uniti dal desiderio comune di una vita migliore al di là dell'orizzonte.
A bordo della nave, mentre il legno scivolava placido attraverso le onde, il destino di Maria e dei suoi compagni fluttuava come foglie al vento. Ogni cresta delle onde portava con sé sia speranza che incertezza, mentre guardavano oltre l'orizzonte verso un futuro incerto ma pieno di possibilità.
E così, mentre le storie narrate da Piazzetta sul coraggio degli emigranti italiani echeggiavano attraverso il tempo, Maria e i suoi compagni affrontarono le sfide e le avversità del viaggio con determinazione e speranza. Erano pronti a rischiare tutto per un assaggio di quel domani promettente che giaceva al di là dell'orizzonte, conscio dell'arduo cammino che li attendeva ma alimentati dalla fiamma ardente del desiderio di una vita migliore.
Dopo settimane di traversata, il grande vapor Giulio Cesare attraccò finalmente a Ellis Island, nel porto di New York. Maria superò il rigoroso esame medico per essere ammessa negli Stati Uniti, una tappa cruciale per iniziare la sua nuova vita nel nuovo paese.
Appena sbarcata a Ellis Island, nel porto di New York, Maria si trovò immersa nella vivace metropoli. Senza indugio, si diresse verso il cuore della città e dopo alcuni giorni trovò impiego presso una rinomata fabbrica di abbigliamento maschile. Con determinazione e abilità, si integrò rapidamente nella vita frenetica della Grande Mela, trasformando le sfide in opportunità e costruendo una vita migliore per se stessa.


sexta-feira, 5 de abril de 2024

Radici che Fioriscono: La Saga della Resilienza di Giovanni nella Terra Promessa


Giovanni Marco Rossi, un immigrato italiano proveniente da Montecielo, vicino a Brescia, Italia, ha trascorso la maggior parte della sua vita in California. Giovannino come era chiamato dai famigliari, è nato il 24 agosto 1896, lui ha iniziato a lavorare come agricoltore fin dall'adolescenza. Durante la Prima Guerra Mondiale, ha prestato servizio militare come tecnico, impegnato in una compagnia di ingegneria, costruendo tunnel e ponti. 
Nel 1920, insieme al suo amico Marco Ferrari, nativo dello stesso paese, ha deciso di emigrare negli Stati Uniti in cerca di migliori opportunità. Dopo il suo arrivo a New York il 3 agosto 1920, Giovanni si è stabilito a Lindale, California, vivendo con suo zio Luigi Cademartori. Grazie al duro lavoro e al risparmio, nel 1925 Giovanni e Marco sono riusciti ad acquistare 20 acri di terra a Lindale. Inizialmente, hanno affrontato sfide come la mancanza d'acqua, ma con ingegno hanno perforato un pozzo, portato l'elettricità e costruito una modesta casa di legno. 
Giovanni e Marco hanno piantato alberi da frutto, coltivato campi, utilizzato cavalli per il lavoro agricolo e portato la loro produzione al mercato di Stockton. Dopo qualche anni, Marco decide di tornare in Italia, lasciando tutta la proprietà a Giovanni che l'ha acquistata a un prezzo equo. Deciso a integrarsi nella società americana, Giovanni ha imparato l'inglese alla Stockton High School e ha ottenuto la cittadinanza americana. Ha incontrato Catarina Lombardi, nata negli Stati Uniti e originaria della Valle di Brescia, in Italia, con cui si è sposato nel 1921. La coppia ha affrontato le sfide della vita rurale in California, con Catarina che si dedicava al lavoro agricolo e domestico. 
Nel tempo, la famiglia è cresciuta con la nascita delle figlie Teresa nel 1931, Dena nel 1935 e Delsie nel 1941. Nonostante una malattia e altre sfide, Giovanni ha continuato a lavorare la terra con dedizione. Nel 1955, Giovanni ha acquistato altri 20 acri di terra e, nonostante fosse malato, ha continuato a coltivarli con successo. Già anziano, ha affittato la terra, ma ha continuato ad aiutare nelle attività agricole. 
Nel 1964, ha fatto una breve visita a Montecielo con Catarina per rivedere parenti e amici. Giovanni Marco Rossi è morto il 20 luglio 1978, all'età di 82 anni, circondato dalla famiglia e rispettato dalla comunità. La storia di Giovanni riflette l'integrazione sociale e il successo raggiunto attraverso il duro lavoro e il rispetto delle tradizioni italiane in un contesto americano.




segunda-feira, 25 de março de 2024

Viagem de Pederobba ao Alasca em Busca de Ouro: A Saga de Giovanni Dalla Costa




Giovanni Dalla Costa e sua família residiam em Pederobba, na localidade de Costa Alta, da pequena cidade de Pederobba, província de Treviso, na fronteira com Beluno, margeada pela estrada Feltrina. 
Nascido em 1868 em uma família de modestos agricultores, Giovanni trabalhava junto aos pais em terras arrendadas, aos pés do monte Monfenera. A situação econômica da família refletia a realidade da maioria dos agricultores da região, e a ideia de emigrar ainda não lhes cruzava a mente, mesmo quando tantos outros já o faziam.
Entretanto, em uma fatídica noite de outono, um grande incêndio consumiu sua casa e toda a colheita armazenada no celeiro, mergulhando-os repentinamente na pobreza. Apesar dos esforços em busca de auxílio governamental e empréstimos bancários, a ajuda necessária não veio, e diante da escassez de trabalho na cidade, Giovanni viu-se compelido a emigrar.
Em 1886, partiu sozinho para a França, onde encontrou emprego em uma mina de carvão, enviando regularmente dinheiro para sua família em Pederobba. Insatisfeito com o trabalho e o baixo salário, considerou emigrar para os Estados Unidos, atraído pelas oportunidades de fortuna que lá se diziam existir.
Embarcou em Le Havre, na Normandia, com destino a Nova York, onde logo ouviu falar da Califórnia, famosa por suas minas de ouro. Rapidamente, rumou para lá, apenas para descobrir que a corrida do ouro já havia terminado. No entanto, encontrou trabalho como mineiro assalariado em Montana, nas Montanhas Rochosas, próximo à fronteira com o Canadá.
Mas a notícia da nova corrida do ouro no Alasca chamou sua atenção. Determinado a mudar de vida, Giovanni, agora chamado de Jack, partiu imediatamente para essa terra remota e gelada, impulsionado pela febre do ouro que o consumia.
Chegando ao Alasca, explorou o vasto território a pé, a cavalo e de canoa, junto com outros aventureiros. Na busca pelo precioso metal ele saiu de Skagway e passou através de difíceis e perigosas passagens como White Pass e Chilkhoot Pass. Fez amizade com um emigrante de Modena, que já havia buscado ouro antes. Seu irmão, Francesco, também se juntou a ele.
Após anos de esforço e sofrimento, finalmente encontraram ouro em abundância ao longo do rio Yukon, onde hoje ergue-se a cidade de Fairbanks. Rico, Giovanni decidiu retornar à Itália, mas teve todo o seu ouro roubado em São Francisco, obrigando-o a retornar ao Alasca.
Após mais um ano de trabalho árduo, Giovanni acumulou novamente riquezas e voltou para Pederobba em 1905, após quase duas décadas de ausência. Embora inicialmente duvidassem de sua história, sua prosperidade logo conquistou a admiração de todos, pois além de uma grande soma em banco, adquiriu terras e casas.
Enquanto Giovanni prosperava, sua família enfrentava dificuldades. Seu irmão Giacomo emigrou para a França, sua mãe, pai, irmão e irmã emigraram para o Uruguai e depois para o Brasil, onde enfrentaram dificuldades financeiras. Com a ajuda de Giovanni, conseguiram se estabelecer em Guaporé, no Rio Grande do Sul.
Giovanni se casou com Rosa Rostolis e teve cinco filhos. Enquanto ele administrava seus negócios e terras em Pederobba, seu irmão Francesco se estabeleceu em diferentes lugares, inclusive no Alasca, Roma e finalmente na Toscana.
A Primeira Guerra Mundial, com o rompimento da frente em Caporetto, trouxe novos desafios, com Pederobba se tornando um campo de batalha. A família de Giovanni foi obrigada a evacuar para Pavia, onde uma de suas filhas morreu vítima da gripe espanhola.
Após a guerra, Giovanni retornou a Pederobba para encontrar sua casa em ruínas e suas economias perdidas. Ele faleceu aos 60 anos, deixando sua família em dificuldades financeiras. Sua esposa, Rosa, foi forçada a vender suas propriedades e morreu em 1955.
Hoje, uma lápide no cemitério de Pederobba lembra a incrível jornada de Giovanni Dalla Costa e sua família.











sexta-feira, 22 de março de 2024

Dalla Trincea all'Amore: La Vita di un Ex-Soldato Austriaco e della sua Infermiera Italiana capitolo 3


Dalla Trincea all'Amore: La Vita di un Ex-Soldato Austriaco e della sua Infermiera Italiana capitolo 3

In tempi di guerra sembra che tutto vada più veloce, non solo per i militari, ma anche per la popolazione civile. Il ritmo della vita si accelera, le decisioni vengono prese con molta più rapidità e anche con molta più facilità rispetto al passato. I modelli di comportamento vengono infranti, sostituiti da altri meno rigidi e più liberali. Le persone sembrano voler esorcizzare tutto quel dolore accumulato durante il tempo in cui è durato il conflitto. La convivenza quotidiana con la sofferenza e la morte fa sì che la percezione della finitezza della vita sia molto più accentuata. Ora tutti hanno una fretta maggiore di vivere la vita, di fare le cose che prima restavano solo nei pensieri. La guerra trasforma una società, cambiando radicalmente il modo di pensare della popolazione. Questo è accaduto anche a Rodolfo e Mariana, che desideravano vivere le loro vite con ansia e improvvisamente decisero di sposarsi. Senza soldi, contando solo sul poco che Mariana aveva risparmiato, presero il treno fino a Roncade, a casa dei genitori di Mariana, per far loro visita insieme ai loro fratelli. Felici, volevano subito comunicare la grande decisione che avevano preso. Il padre di Mariana, dopo molte esitazioni, principalmente perché Rodolfo era sconosciuto e, fino a poco tempo prima, era considerato un nemico, dopo aver conosciuto meglio il ragazzo e le sue intenzioni, alla fine cedette e acconsentì al matrimonio dei due. Era sicuro che non avrebbe potuto fare diversamente, il mondo era cambiato, i due giovani erano maggiorenni e pronti a sposarsi comunque. Molte tradizioni, molte leggi stavano lasciando spazio a un pensiero più liberale. Non avendo dove stare, la famiglia di Mariana, su iniziativa della madre, gli diede una stanza nella loro casa. Rodolfo scrisse ai genitori per comunicare la novità e disse che, date le circostanze attuali del paese, non si aspettava che potessero venire al matrimonio. Dopo due settimane non usava più le stampelle per camminare e con l'aiuto di Mariana in poco tempo la forza nella gamba operata tornò completamente, guarì completamente. La cerimonia di matrimonio, celebrata nella Chiesa di Tutti i Santi di Roncade, fu molto semplice e veloce, con la presenza solo dei genitori di Mariana, dei suoi fratelli e di due amiche d'infanzia. Dopo il rito religioso, presero un treno per Bolzano, Rodolfo era ansioso di presentare sua moglie Mariana alla sua famiglia. La situazione in tutta Italia, nel periodo immediatamente successivo alla fine del conflitto, era piuttosto caotica, specialmente in quelle regioni più colpite, dove si trovava il fronte, con diverse città distrutte. Le linee ferroviarie venivano riparate e le strade e i ponti venivano ricostruiti. Nonostante ciò, c'era un intenso movimento di veicoli e persone a piedi. Ci vollero quasi tre giorni per arrivare a Ortisei. Dal Trento tutto era intatto, come se non ci fosse stata una guerra. Alla sua uscita dall'ospedale militare di Padova, Rodolfo ricevette un permesso speciale per poter circolare e questo veniva sempre mostrato ai vari posti di controllo. Quando arrivarono a casa dei genitori di Rodolfo, vennero subito a sapere dalla triste notizia della morte, in combattimento, due anni prima, del cognato Maximiliano, riportata da un amico che avevano incontrato nella città natale. Sua sorella vedova e i figli della coppia continuavano a vivere a casa dei suoceri. La famiglia di Rodolfo fu felice del ritorno del figlio, che a causa della mancanza di notizie pensavano fosse morto anche in quella guerra. Non avevano più ricevuto notizie dal figlio, poiché le varie lettere del ragazzo non erano mai arrivate, nemmeno quella in cui comunicava il matrimonio. Erano fuori di sé dalla felicità. Mariana fu immediatamente accolta da tutti, che elogiavano la sua bellezza. Passarono alcune settimane e la coppia si rese conto che lì non era il luogo che avevano immaginato di vivere. La soluzione trovata, l'unica che offriva ancora speranza di una nuova vita, lontano da quella tensione post-guerra, sarebbe stata emigrare e il Brasile era la destinazione preferita da entrambi. Questa era sempre stata l'idea di Mariana prima della guerra, la quale aveva molti parenti stretti che vivevano in quel paese, emigrati più di trent'anni prima, ma che ancora prima del conflitto corrispondevano periodicamente. Erano zii e cugini che vivevano nelle città di Caxias, nello stato del Rio Grande do Sul, e Rodeio, in Santa Catarina. Sia i genitori di Rodolfo che quelli di Mariana erano molto tristi e preoccupati per questa improvvisa comunicazione della coppia, ma sapevano che era una decisione corretta, perché in Brasile avrebbero avuto molto più futuro che in Italia.


Continua 
Tratto dal racconto "Da Trincheira ao Amor" 
di Dr. Luiz Carlos B. Piazzetta




sábado, 16 de março de 2024

Dalla Provincia di Rovigo alla Provincia di San Paolo: La storia di una famiglia di emigrati italiani - parte 2

La vita in Fattoria

Domenico era il secondo figlio maschio di una famiglia di dieci fratelli che vivevano nella località di Rasa, nella provincia di Rovigo. Per un certo periodo, nella sua giovinezza, lavorò come dipendente in una grande piantagione di riso, proprio nel luogo dove incontrò Giuseppina, sua moglie. Il corteggiamento fu piuttosto rapido e presto decisero di sposarsi. Il matrimonio fu celebrato a Villa d'Adige, la piccola località dove la famiglia di Pina viveva da diverse generazioni. Poiché il padre di Giuseppina era morto alcuni mesi dopo il matrimonio, la coppia decise di rimanere a vivere sulla proprietà di famiglia. I cognati erano ancora molto giovani e avevano bisogno di aiuto. Arrivarono persino a pensare di trasferirsi nella città di Villa Bartolomea, nella provincia vicina di Verona, su invito di altri parenti già stabiliti lì, ma per non lasciare la famiglia della moglie senza supporto, si stabilirono nella stessa cittadina dove Pina era nata. Era una località molto isolata, piccola e arretrata, formata da poche famiglie, tutte molto povere, che vivevano del lavoro nelle piantagioni di riso come braccianti giornalieri. Domenico e Pina continuarono a lavorare in queste piantagioni di riso della regione dove, nei primi anni, non mancava il lavoro. Ebbero i loro sei figli in quella località, ma non vedevano alcuna possibilità di progredire in quel luogo dove la povertà cresceva solo. A causa delle tasse imposte dal nuovo governo, molte fattorie chiusero e i proprietari emigrarono in altri paesi. La disoccupazione cominciò a crescere, raggiungendo un punto insopportabile. Le condizioni di vita della coppia iniziarono a peggiorare dopo la morte del padre di Domenico, Giacomo Risottoni, che li aiutava sempre per quanto poteva, colpito da una grave malattia che consumò le risorse di tutta la famiglia con medici e medicine. Fu allora che decisero di emigrare in Brasile seguendo l'esempio di migliaia di altri italiani. In quell'occasione, Domenico partì anche con i suoi due fratelli per lo stesso destino in Brasile: Giuseppe, il maggiore di loro, con la moglie Giulia e cinque figli e il più giovane, di nome Antonio, ancora single, accompagnato dalla madre Luigia, allora vedova di 57 anni. Tra i membri del gruppo di oltre cinquanta persone c'erano anche diversi cugini e due zii di Domenico, Giovanni Battista e Francesco, accompagnati dalle loro mogli. Alla fazenda Coquinhos, dopo l'impatto negativo dell'arrivo, quando tutti nel gruppo di immigrati pensavano solo di rinunciare a tutto e cercare un altro posto dove vivere, ma dovettero affrontare la realtà e adattarsi, proprio come decine di altri connazionali che lavoravano lì. La fattoria aveva circa cinquecento dipendenti, la maggior parte dei quali italiani. Tutto quel territorio della provincia di San Paolo era ricco di terre rosse, con rilievi, altitudini e climi ben definiti, favorevoli alla coltura del caffè. Gli affittuari ricevevano un salario fisso per la coltivazione delle piante di caffè e una parte variabile in base alla quantità di frutti raccolti. Inoltre, potevano allevare piccoli animali e produrre cibo per il sostentamento della famiglia in fattoria e vendere l'extra. Il salario annuale veniva diviso tra i mesi e distribuito il primo sabato di ogni mese, rendendolo un giorno di riposo per fare acquisti e visite. All'arrivo in Brasile, le famiglie provenienti dall'Italia erano relativamente giovani, in piena fase produttiva e riproduttiva, composte per lo più da coppie o coppie con figli non ancora adulti. Quando si assumeva l'affittuario, il proprietario terriero assumeva il lavoro di tutti i membri della famiglia. Nella coltura del caffè paulista, il termine "affittuario" e "famiglia affittuaria" avevano lo stesso significato. Il numero di piante di caffè sotto la responsabilità dell'affittuario era stabilito in un contratto stipulato con la fattoria e assegnato in base al numero di membri della famiglia affittuaria capaci di lavorare. Le condizioni del contratto erano generalmente più favorevoli al proprietario terriero, che poteva infliggere multe e licenziare l'impiegato quando voleva. La mentalità dei proprietari terrieri paulisti era ancora quella schiavista, in uso da oltre 200 anni, e gli affittuari non riuscivano sempre a sopportare i maltrattamenti subiti. Molte erano le lamentele inviate da varie fattorie al consolato italiano a San Paolo, registrando crimini di aggressione subiti dalle famiglie di immigrati. Le violenze contro le donne italiane erano molto frequenti, poiché i proprietari terrieri non erano ancora abituati a trattare persone con diritti. Altri abusi includevano la manipolazione dei pesi e delle misure, la sottostima della quantità effettivamente piantata o raccolta dal lavoratore. Confiscavano prodotti e, soprattutto, usavano multe per limitare le loro spese. Persino il motivo più futili era sufficiente per dedurre somme considerevoli dal libro dei conti dell'affittuario. Le multe diventavano sempre più frequenti con il calo del prezzo interno del caffè. A causa della distanza dalla fattoria alla città più vicina, dipendevano da prodotti alimentari che non potevano produrre come farina, zucchero, sale e si rifornivano nel magazzino della stessa fattoria che li sfruttava, vendendo a prezzi più alti rispetto alla città. La giornata lavorativa giornaliera dei dipendenti della Fazenda Coquinhos era molto dura, si estendeva per tutto l'anno dall'alba al tramonto, sempre sotto la sorveglianza dei capi squadra, che riportavano direttamente all'amministratore della proprietà. Si svegliavano alle 5 del mattino e alle 6, al suono delle campane della fattoria, partivano per un'altra giornata di lavoro nel campo di caffè. Lavoravano in media 12 ore al giorno, potendo arrivare fino a 14 ore, senza contratto di lavoro, né diritto a ferie o altri benefici. La struttura familiare degli immigrati rimaneva intatta come in Italia, dove il padre era il capofamiglia, con divisione dei compiti tra i membri del clan, e il servizio domestico, la cura dei bambini, degli anziani o degli invalidi, era riservato alle donne della famiglia. Al padre spettava l'ultima parola nella divisione dei compiti e nelle decisioni familiari. Le donne incinte lavoravano fino al momento del parto, quando venivano portate a casa in carrozza e spesso il bambino nasceva nella carrozza stessa. Molti neonati venivano alla luce in mezzo al campo di caffè, all'ombra di un albero di caffè, e subito avvolti nei panni che la madre aveva preparato. Molte fattorie avevano la loro cappella, dove venivano celebrate messe la domenica, a cui gli affittuari potevano partecipare. Altre, come nel caso in cui Domenico e la sua famiglia finirono, ricevevano solo la visita mensile di un prete, che celebrava matrimoni e battesimi. Il matrimonio era un'istituzione obbligatoria per la formazione delle famiglie degli immigrati che spesso si sposavano solo in chiesa e in seguito celebravano la cerimonia civile. La città più vicina era a più di tre ore di cammino e solo lì c'era un ufficio di stato civile per la registrazione del matrimonio. Attraverso il battesimo dei figli si rafforzavano i legami di amicizia tra le varie famiglie di immigrati. Già nel primo anno di permanenza in fattoria, Pina rimase di nuovo incinta e partorì un altro ragazzo che Domenico chiamò Settimo, perché era il settimo figlio della coppia. Per fortuna Pina era molto forte e sana e veniva assistita dalla suocera Luigia, che era anche levatrice. Le condizioni igieniche delle case dei dipendenti della Fazenda Coquinhos non erano buone. Spesso si presentavano malattie gravi che potevano invalidare un lavoratore e talvolta persino ucciderlo, come malaria, vaiolo, febbre gialla, tracoma e anchilostomiasi, che erano presenti in quasi tutte le piantagioni di caffè. In fattoria c'era assistenza solo per casi semplici di ferite e in quanto la fattoria si trovava lontano dai centri urbani, nei casi più gravi dovevano spostarsi in carrozza per ricevere assistenza medica. Questi costavano caro e le visite domiciliari, quando necessarie, erano molto costose, e una malattia di breve durata poteva cancellare i guadagni di mesi o addirittura di anni di lavoro. Domenico si ricordava bene quando suo fratello minore Antonio fu morso da un serpente velenoso e rimase gravemente malato, richiedendo il suo trasferimento in una città vicina, dove dovette essere ricoverato in ospedale per alcuni giorni. La vita del ragazzo era seriamente in pericolo, anche di perdere una gamba, e il medico chiamato a consultarlo non aveva speranze di salvarlo in fattoria e decise per il ricovero ospedaliero. Le spese mediche furono pagate dal proprietario terriero, che prestò loro i soldi da restituire al momento del saldo mensile. Tutto la famiglia di Domenico dovette contribuire per aiutare a pagare il debito con il proprietario della fattoria. Eran già passati sei anni da quando erano arrivati in fattoria e ora praticamente non dovevano più niente al proprietario terriero. La famiglia di Domenico era cresciuta anche in Brasile con la nascita di altri tre figli, rendendoli ora dieci in totale. Poiché non c'era scuola in fattoria né nelle sue vicinanze, era Giovanni Battista, il fratello maggiore di Domenico, che sapeva leggere e scrivere, anche se precariamente, che cercava di colmare questa mancanza. Domenico e la sua famiglia, qualche tempo dopo il loro arrivo, rendendosi conto delle dure condizioni di lavoro in fattoria, della vita difficile che conducevano e della mancanza di prospettive per il futuro, giunsero alla conclusione che l'emigrazione non aveva portato grandi vantaggi per loro in termini di progresso: continuavano a essere sotto il controllo di un padrone duro, rimanevano poveri e, soprattutto, dopo questi anni trascorsi non erano ancora riusciti a raggiungere uno degli obiettivi principali che li aveva portati in Brasile, ovvero ottenere una propria terra da coltivare. Durante gli anni di lavoro in fattoria erano riusciti a mettere da parte qualche risparmio, accumulando quello che guadagnavano con il contratto di lavoro nel caffè e quello che riuscivano a ottenere vendendo l'eccedenza dei prodotti agricoli che coltivavano. Giuseppina, con le sue due figlie più grandi e la suocera Luigia, erano molto abili e negozianti, vendevano uova, pane, dolci e torte che preparavano. Una volta alla settimana, quando il tempo lo permetteva, andavano in carrozza fino a Mogi Mirim, la città più vicina alla fattoria, per vendere ciò che producevano. La loro produzione era di buona qualità e arrivarono ad avere molti clienti fissi che facevano ordini. L'idea di Domenico era di acquistirare una piccola tenuta nella periferia di quella città utilizzando i risparmi accumulati. Lascerebbero la fattoria non appena avessero ottenuto il terreno dei loro sogni. Lui e Pina pensavano molto all'istruzione e al futuro dei loro figli. La città stava crescendo rapidamente e avrebbero potuto trovare qualche impiego nel commercio o in una piccola fabbrica locale, mentre i figli avrebbero potuto frequentare la scuola e in seguito lavorare anche loro.

Dr. Luiz Carlos B. Piazzetta
Erechim RS




sexta-feira, 15 de março de 2024

Destino Brasile: La giornata di Rinaldo e Giuseppe nella Colonia Conde D'Eu

 


Nel gelido inverno del 1889, Rinaldo Battista R. e suo cognato Giuseppe G. affrontavano una svolta inaspettata nei loro destini. La possibilità di una nuova vita in Brasile, emersa attraverso la Società di Navigazione Generale Italiana, un'azienda di navigazione incaricata e commissionata dal governo brasiliano per reclutare manodopera italiana in tutto il paese, pagando i rispettivi biglietti di trasporto, fu interrotta da una decisione del parlamento italiano, sospendendo temporaneamente l'emigrazione sovvenzionata per il Brasile, gettando i loro sogni in un abisso di incertezza.
A Cantonata, la piccola località dove ora stavano vivendo, situata nel cuore della provincia di Cremona, a causa delle cattive condizioni meteorologiche, quell'anno i campi di lino produssero solo un terzo di quanto previsto. La nebbia si librava sui campi di grano, riducendo il raccolto della metà. L'uva, simbolo di prosperità, appassiva nei vigneti, mentre le tempeste sparse causavano danni diffusi. La disperazione si intrecciava con i loro giorni e così tentarono un cambio di residenza, lasciando alle spalle Costa Santa Caterina, dove erano nati e sempre avevano vissuto, in cerca di migliori condizioni a Cantonata. Tuttavia, le ombre dell'incertezza persistevano, alimentate dall'incessante attesa della possibile revoca del divieto governativo sull'emigrazione sovvenzionata.
Per questa impresa ebbero l'aiuto di Pierino, un amico comune, che non risparmiò sforzi per aiutarli a ottenere i passaggi gratuiti per il Brasile. I loro cuori rimanevano riscaldati dalla speranza, anche di fronte alla crudezza dell'inverno e alle difficoltà della vita rurale in Italia quell'anno.

Finalmente, nel 1891, le nuvole del divieto si dissolsero. Imbarcarono finalmente per il Brasile, a bordo di una grande nave a vapore, arrivando dopo 40 giorni nella Colônia Conde D'Eu, situata nel cuore del Rio Grande do Sul. La terra promessa li accolse generosamente e il seme dei loro sogni, una volta piantato nell'Italia gelida, ora fioriva sul suolo brasiliano.
I primi anni nel nuovo paese furono impegnativi, in realtà molto duri, ma con perseveranza e duro lavoro, i due cognati costruirono una nuova casa. In pochi anni trovarono l'amore, Giuseppe con Maria e Rinaldo con Carmela, entrambe figlie di famiglie immigrate dalla regione del Veneto, che si erano stabilite 15 anni prima in quella colonia. Le due famiglie crebbero, i raccolti abbondarono e presto poterono acquistare più terreni, rendendo molto più estese le loro proprietà, consolidando definitivamente le loro presenze nella colonia.
Man mano che gli anni passavano, poterono vedere i figli seguire le loro orme, espandendo i vigneti, modernizzando le tecniche agricole e costruendo una solida base per le generazioni future. La Colônia Conde D'Eu, oggi la splendida città gaucha di Garibaldi, divenne la loro casa, non solo geograficamente, ma nel tessuto delle loro vite e memorie.
Il viaggio dei due cognati cremonesi, iniziato nella gelida Italia, culminò in una storia di successo, determinazione e prosperità nelle vaste terre del Rio Grande do Sul. Il Brasile divenne la loro seconda patria, accogliendoli generosamente, e loro, a loro volta, piantarono radici profonde e durature in questo fertile suolo.



segunda-feira, 18 de janeiro de 2021

A Fuga do Campo dos Pequenos Agricultores Vênetos

Imigrantes italianos na hospedaria de São Paulo


Ainda no século XIX, todas as sociedades européias eram prevalentemente rurais. A terra era a mãe de toda a vida e de cada cultura. Nos campos os homens e mulheres encontravam o trabalho e os alimentos, as festas e canções. A sociedade está em grande transformação, novas cidades que crescem e fábricas que surgem e o movimento operário que avança. Mas, o campo continua no esquecimento, onde ainda vive a maior parte da população. Os agricultores não tem voz e também não escrevem. São analfabetos e vivem longe das cidades onde costumam morar e operar os políticos. Os agricultores não influenciam a história mas, por outro lado são eles que produzem o pão, o vinho e os demais  alimentos para o povo. A história não se escreve sem eles. É o homem do campo que suporta o maior peso da sociedade. As crises, as guerras, as revoluções, as carestias, as pestes pesam em grande parte nos seus ombros. Também a emigração é sobretudo um caso de agricultores. É portanto sobre as populações rurais que devemos ter os olhos apontados se quisermos entender um país e conhecer a sua verdadeira história. Isto porque, quando as cidades progridem, são somente alguma dezenas de milhares que estão bem, mas, quando o campo sofre, os que sofrem podem ser contados na casa de milhões. Se fogem enchem o horizonte. 



Imigrantes italianos no desembarque em New York

É justamente isso que aconteceu com o Vêneto, na segunda metade do século XIX. A emigração é sobretudo isso: é a história das populações rurais que não conseguem mais sobreviver da terra. O campo não é mais em grau de sustentá-los e os expulsa. Também a Itália do século XIX era ainda um país quase exclusivamente  rural. Também o Vêneto. Os trabalhadores dos campos se viram frente a dois problemas fundamentais: o primeiro era a fome, o segundo é a terra que quase sempre pertencia a quem não trabalhava nela. As condições dos agricultores era muito precária. Bastava uma chuva de pedras para os colocar em grandes dificuldades, bastava a frustração de duas colheitas para os levar a contrair empréstimos com juros de usura. O agricultor vêneto suporta em silêncio as  suas múltiplas vicissitudes. Havia um secular hábito para a suportação. A religião os havia ensinado a respeitar as autoridades. No agricultor vêneto prevalece a obediência: são os outros que decidem por eles. Bastava-lhes ter fé , coragem e disciplina. Nessa época o Vêneto ainda era uma colônia: uma sociedade formada por patrões e servos. 


Emigrantes vênetos no Porto de Genova

Caberá a emigração romper este esquema tradicional. Indo para o exterior o emigrante vêneto descobrirá pela primeira vez uma sociedade diferente. Conhecerá cidadãos livres e  novas responsabilidades. Encontrará as massas organizadas. A decisão de emigrar em definitivo terá para eles o mesmo valor de um gesto de liberação: romper a antiga tradição da servil, comprando finalmente a liberdade, refutando de obedecer sempre, de calar sempre. Esta é para muitos a emigração: mudar, andando para longe. Partir para sempre em direção a uma vida própria, para a independência. 

Texto de autor desconhecido


Dr. Luiz Carlos B. Piazzetta
Erechim RS