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terça-feira, 10 de dezembro de 2024

La Nave della Speranza


La Nave della Speranza


La nebbia aleggiava sul porto di Genova come un velo di lutto, soffocando i sussurri e i singhiozzi di chi si congedava. L'uomo stringeva la mano della moglie, sentendo il freddo del metallo della fede nuziale. Accanto a loro, tre bambini guardavano l'orizzonte, dove l'immenso Atlantico prometteva una nuova vita, mentre sua madre, una vedova conosciuta in famiglia come nonna Pina, teneva gli occhi bassi, nascondendo la disperazione che cresceva nel suo petto. Le strette strade di Vicenza, la piazza dove giocavano, la chiesa dove si erano sposati, tutto ciò rimaneva indietro, ridotto ora a dolorosi ricordi.

Il Brasile, l'El Dorado, era un sogno lontano, venduto dagli agenti di emigrazione come la terra delle opportunità. Ma per l'uomo, ciò che era iniziato come un bisogno urgente di sfuggire alla fame e alla miseria diventava, ad ogni chilometro percorso in mare, una scelta amara, un tradimento silenzioso delle radici che non avrebbero mai smesso di sanguinare.

Durante quel lungo e turbolento viaggio, le speranze si mescolavano alla paura. Le acque agitate dell'Atlantico riflettevano la tempesta di emozioni che invadeva quei cuori esiliati. Le notti erano piene di sogni interrotti, incubi in cui la patria sembrava allontanarsi sempre di più. Nei loro pensieri, una domanda persisteva: avevano fatto la scelta giusta lasciando la terra natia?

Allo sbarco nel porto di Rio Grande, furono accolti da un caldo soffocante e una lingua sconosciuta che sembrava un intreccio di suoni. Il lungo viaggio in barca sul fiume Jacuí fino alla colonia italiana nella Serra Gaúcha era lungo e arduo, attraverso strade inesistenti e sentieri nel mezzo della foresta. La terra sembrava fertile, ma richiedeva un grande sforzo per essere domata, le sfide erano molte e si presentavano in continuazione. L'uomo sentiva il peso del mondo sulle sue spalle; la promessa di una nuova vita si dissolse rapidamente davanti alla realtà brutale di abbattere la foresta, coltivare un suolo ribelle e affrontare le malattie tropicali.

La moglie, sempre forte e silenziosa, si occupava della casa improvvisata con una dignità che impressionava tutti intorno. Manteneva vive le tradizioni italiane, cercava di cucinare piatti che evocavano il sapore di casa, ma il gusto sembrava sempre mancare. La nonna Pina, da parte sua, vedeva i giorni trascinarsi, consumata da una nostalgia che sembrava un cancro nell'anima. Sognava il ritorno, con le strade di pietra, le voci familiari, ma sapeva, nel profondo, che non avrebbe mai più rivisto la sua patria.

I primi mesi nella colonia furono segnati da privazioni e lavoro incessante. I bambini, ancora piccoli, imparavano a convivere con il fango e la durezza della vita rurale. L'uomo e la donna lavoravano duro dall'alba al tramonto, sfidando la foresta, erigendo recinzioni, tentando di domare una terra che si rifiutava di essere conquistata. Di notte, quando tutti dormivano, lui si permetteva di guardare il cielo stellato e immaginare che, da qualche parte lontana, anche la sua Italia fosse sotto lo stesso cielo, aspettando il suo ritorno.

L'inverno nella Serra Gaúcha era implacabile. La famiglia, pur abituata al clima gelido degli inverni del Veneto, sentì il freddo tagliare i loro corpi e le loro anime per la mancanza di un rifugio adeguato. I vestiti erano inadeguati, le case mal costruite lasciavano passare il vento gelido, e le provviste scarseggiavano. La moglie si prendeva cura dei bambini come poteva, avvolgendoli in coperte improvvisate, raccontando storie intorno al fuoco per mantenerli caldi, sia nel corpo che nello spirito.

I giorni passavano lentamente, e la nostalgia diventava un compagno costante. Nelle notti silenziose, la nonna mormorava preghiere in italiano, le sue mani tremanti aggrappate al rosario come un ultimo legame con la terra che tanto amava. I bambini, sebbene giovani, percepivano il peso di quel fardello invisibile che i loro genitori portavano. Crescevano tra due mondi: quello delle storie e delle canzoni italiane, e quello della dura e implacabile realtà brasiliana.

Il tempo trasformò la colonia in un luogo di contrasti. Da un lato, ora lavoravano sulla propria terra, non dipendevano più dai padroni e non dovevano più dividere i raccolti. C'era la promessa di una nuova vita, di prosperità e di un futuro migliore per i figli. Dall'altro, la realtà che ogni giorno lì era una lotta costante, una battaglia contro la natura, contro la distanza, contro la nostalgia. La terra che prometteva tanto, dava poco. I campi che dovevano fiorire con vigne e grano erano coperti di erbacce e pietre.

Ogni lettera ricevuta dall'Italia rinnovava il dolore. Le notizie dei parenti rimasti, le feste e le celebrazioni a cui non partecipavano più, tutto questo serviva a ricordare che erano lontani, molto lontani da casa. Il ritorno, che all'inizio sembrava una possibilità reale, si andava facendo sempre più remoto. I risparmi che avrebbero dovuto essere messi da parte per il ritorno venivano spesi per bisogni immediati: attrezzi, medicine, cibo.

I bambini, crescendo tra la cultura italiana dei genitori e quella brasiliana che li circondava, cominciavano a perdere il legame con la terra degli antenati. Parlavano un portoghese con accento marcato, mescolato con parole italiane che non avevano senso per gli altri coloni. Era un'identità in formazione, un misto di due mondi che non si sarebbero mai completamente integrati.

L'uomo osservava questo processo con tristezza. Vedeva i suoi figli allontanarsi, poco a poco, dalle tradizioni a cui teneva tanto. Il desiderio di tornare in Italia diventava un peso schiacciante. Con il passare degli anni, la realtà che non sarebbero mai più tornati diventava sempre più evidente. L'Italia, con le sue colline verdi e i vigneti, non era più un'opzione. Erano intrappolati in una terra che non li abbracciava, ma che nemmeno li lasciava andare.

Gli anni portarono più difficoltà, ma anche una certa accettazione. La moglie, che all'inizio lottava contro la realtà, ora si rassegnava. Trovava forza nella famiglia, nella certezza che, nonostante tutto, erano insieme. La nonna, nel suo letto di morte, chiese solo una cosa: che, ovunque fossero sepolti, una piccola porzione di terra italiana fosse posta sui loro corpi, affinché, anche nella morte, fossero legati alla terra che tanto amavano.

Col tempo, la colonia cominciò a prosperare. I primi raccolti furono modesti, ma sufficienti per alimentare la speranza. I coloni si aiutavano reciprocamente, creando una comunità in cui lo spirito di solidarietà era forte quanto l'amore per la patria lontana. La chiesa, costruita con sforzi collettivi, divenne il cuore della colonia, dove tutti si riunivano per pregare e mantenere viva la fiamma della fede.

L'uomo, ora invecchiato, guardava la colonia con un misto di orgoglio e tristezza. Aveva messo radici lì, ma sentiva che una parte di sé sarebbe sempre stata altrove. La moglie, ancora forte nonostante gli anni, si prendeva cura della casa con la stessa diligenza di sempre, ma i suoi occhi erano stanchi. I figli, ormai cresciuti, ora lavoravano accanto ai genitori, ma sognavano un futuro diverso, più moderno, meno legato alle tradizioni che avevano sostenuto i loro genitori.

Il sogno di tornare in Italia, un sogno che un tempo era vivo e pulsante, si era trasformato in un ricordo amaro, un lamento silenzioso che avrebbe accompagnato la famiglia per sempre. Tuttavia, la colonia continuava a crescere, e con essa, la nuova generazione che portava nel sangue l'eredità degli immigrati, ma che iniziava anche a forgiare una nuova identità, un'identità brasiliana.

In definitiva, la vita nella colonia italiana del Rio Grande do Sul era una vita di adattamento e trasformazione. Ciò che era iniziato come un sogno di ritorno si convertì in una malinconica accettazione.

terça-feira, 1 de outubro de 2024

Soto el Ciel de Brasil: El Destin de 'na Famèia de Contadin


 

Soto el Ciel del Brasil 

El Destin de 'na Famèia de Contadin


El sole se stava impissando sora i monti de le Dolomiti, colorando el ciel de 'n arancio vivo. In 'na pìcola vila in provìncia de Belùn, ai confìni norte de el Vèneto, la famèia Benedettini lori i se reunia intorno a 'na grande e vècia tola de legno, segnà dal tempo e dal doperamento. Giovanni Benedettini, el paron de casa, i zera 'n òmo con le man calegate e co' i òci che ghe portea drìo sècoli de storia. El vardava i so fioi, Rosa e Pietro, e la so moier Augusta Aurora, fermà in silénsio co 'l rosàrio in man.

“La situassion la zera diversa co la Serenìssima,” el ga parlar Giovanni, rompendo el silénsio. “Se magnava mesodì e cena. Gavévimo pan e vin, e el laorar la tera mantenea noaltri. Ma romai, soto i Savoia, pena che ghe riusimo a magnare mesodì. La fame sbater a la porta de noantri, e la tera, che prima ne dava vita a noantri, romai pare che ne condana.” Maria ghe fece sì co la testa, coi òci che rifletea la stesa ansia. Lei savea che 'na cambiada se stava avicinando, 'na cambiada che saria stada decisiva.

La memoria de la Serenìssima Republica de Venèssia la zera ´ncora viva in te 'sta comunità, 'na època de relativa prosperità e dignità, prima de l'invasion de Napoleon e la dominassion austrìaca che la ze vignesta dopo. Soto Francesco Giuseppe, el imperatore “Cesco Bepi” come i vèneti lo ciaméa, la vita la zera deventa pi dura, ma ancora suportabile. Co l'unificassion de l'Itàlia e l'anession de tuto el Vèneto al Regno d'Itàlia soto la Casa de Savoia, la situazion la zera degenerà de corse. Le promesse de libertà e prosperità le zera bale de fumo; quel che ghe ze restà la ze fasea la strada de la misèria. La crisi económica la se gavea agravà, e la famèia Benedettini, come tanti altri picoli contadini e artigiani, lori i se trovea su l'orlo del colasso. La tera che Giovanni el curava co tanta passion la ghe apartenéva a 'n gran sior che 'l stava lontano, a Venèssia. El gastaldo, incaricà de la gestion, el zera spietà e no ghe suportea nesuna mancansa. I dèbiti se somea, e la fame diventava 'n compagno de tuti i zorni.

In 'na matina freda de otobre, durante la messa de domènega, el pàroco Don Luigi, 'n òmo stimà da tuti quanti in paese, el salì sora el pùlpito e, co 'na ose che rimbombea tra le mure de la cesa, no le mandà a dir e, anche contro i interesi dei siori, el incitava i poveri a 'ndare via en emigrassion. “Fiòi mèi, la nostra tera la ze benedeta, ma romai i tempi lori i ze duri. Dio ne ga dà coràgio, e gavemo de dover usarlo. Ghe ze teri oltremare, teri che promete 'na vita mèio. La fame no ga da èsser el nostro destin. Partì, trové nuova vita. Questa la ze la volontà de Dio.”

Le parole del pàroco le risuonea ´ntel cuor de Giovanni. El savéa che restar voléa dir la morte dimorà de la so famèia, ma partire i zera 'na scomessa ´ntel scognossesto. Tanti siori, contro a l'emigrassion, parchè lori gavaria restà sensa manodopera o, per la carensa, i gavéa da pagarla molto de pi, i faseva circolare tra la zente voci e desinformassion che creava paura in quei che i volea partir. Ma, 'na sera, vardando i visi de i so fioi, el ga preso 'na decision. I lasserà el Vèneto.

La decision de emigrare no la ze stada fàssile, ma el destino el ghe zera avisa. In 'na matina nebolosa, la famèia Benedettini la ga radunà quei pochi cianfrusaglie che i gaveva e la se ga preparà par la longa strada fin al porto de Génova. Li, i se imbarcarìa su 'n vapor verso el Brasil, un país de che no savea quasi gnente, ma che prometea nuove oportunità. Prima de partir, Giovanni el ze ndà in cesa. El s'é indenocià davante a l'imagine de San Marco, el patron de la cesa de so vila, e el ga fato na orassion in silénsio. El sentéa el peso de sécoli de storia sora i so ombri, ma savéa anche che no ghe le zera altra strada.

El zorno de la partensa el ze stado segnà da làcrime, abrassi e forti struconi. La pìcola comunità la se ga radunà par despedirse da famèia Benedettini che partiva. Amighi e visini lori i ga oferto preghiere e promesse de letere. La tristessa se sentéa, ma ghe zera anca 'na scìntia de speransa ´ntei òci de quei che partiva. “No ve desmenteghe mai chi che ti si, da dove ti si nassùo. Porte el Vèneto ´ntel cuor,” el ghe dise el vècio Paolo, l'amigo pi caro e antico de Giovanni, mentre el ghe stringéa la man al patriarca.

La traversada de l'Atlàntico la ze stada longa e piena de sfide. In te la stiva del vapore, i Benedettini condividéa 'n spàssio streto co na decine de altre famèie, tute provenienti da vàrie region de l'Itàlia, tute in serca de 'na nuova vita. El mar el zera impietoso, e tanti zorni passea sensa che la luce del sole penetrasse ´ntele profondesse del vapor. Rosa, la fiola pi granda, la se gavéa amalà durante el viàio. Maria fasea tuto quel che lei podea par salvarla, ma la mancanza de mèdici e le condission insalubri le rendeva la guarigione difìcile. In momenti de disperassion, Giovanni el ghe domandea se el gavea fato ben a partir, ma Maria la ghe ricordea le parole de Don Luigi: “Questa la ze la volontà de Dio.”

Finalmente, dopo setimane su el mar, i ga varda la costa brasiliana. El porto de Santos se stendea davante a lori, 'na vision che mischiava alìvio e incertessa. La zera l'inisio de 'na nuova vita, ma anche la fin de tuto quel che i gavea conossùo. El Brasil i gavea recevù co 'n caldo sufocante e 'na vegetassion vigorosa. L'adatassion la ze stada dura. La lèngua, i costumi, la tera stessa i zera strani. Tutavia, i Benedettini i gavevano tenassità. Giovanni el ga trovà laoro ´nte 'na fasenda de cafè, mentre Maria la curava i fioi e 'na pìcola plantassion che lei podea manténere. El laoro el zera molto duro, ma par la prima olta in ani, ghe zera la speransa. Co el tempo, altre famèie italiane i ga se unì a lori, creando 'na comunità dove le tradission del Vèneto le zera preservà. In meso a le dificoltà, ghe zera anche la giòia de le vendemi, de le feste religiose, e del nàssere de nuovi fioi, che i porteva co lori la promessa de 'n futuro mèio.

Rosa la ze guarì e, ani dopo, la se ga sposà co 'n giovane contadino vegnù anca lu dal Vèneto. Pietro, el fiol pi pìcolo, el ze cressù forte e pien de soni. La nova generassion de i Benedettini no savéa la fame che gavea segnà la vita de i so genitori. Ani ga passà, e Giovanni el ze invèciar. Sentà in veranda de la so modesta casa, el vardava i campi intorno, che i se stendeva fin dove ghe rivava el cuòr. El Brasil, così lontano da le montagne del Vèneto, el zera diventà 'na seconda casa, ma el cuor de Giovanni el ga sempre continuà a bater pi forte par la tera natìa, par le coli e i paeseti che, tanto tempo prima, la so famèia i gavea contribui a costruì.




quarta-feira, 28 de agosto de 2024

Il Viaggio di Antonio Mansuetto



Nel 1946, subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il piccolo comune di Marano di Castelnovo, in Emilia Romagna, stava lentamente riprendendosi dalle devastazioni del conflitto. Antonio Mansuetto, un giovane avventuriero di 34 anni, aveva deciso che il suo destino si trovava oltre i confini dell'Italia. Con uno spirito indomabile e un ardente desiderio di esplorare terre lontane, Antonio lasciò la sicurezza della sua casa e della famiglia per cercare fortuna in terre sconosciute.

Con una solida formazione come meccanico-elettricista e un'esperienza preziosa prestata all'esercito italiano, Antonio possedeva le competenze e la determinazione necessarie per prosperare. Il Brasile, allora in piena fase di crescita industriale, offriva opportunità che sembravano fatte su misura per le sue abilità. Con pochi soldi risparmiati e una speranza illimitata, imbarcò su una nave verso l'ignoto.

San Paolo, la vibrante metropoli sudamericana, accolse Antonio con l'energia frenetica di una città in trasformazione. Trovò rapidamente lavoro nell'industria dell'acciaio, nella siderurgia nazionale, un settore in espansione. La sua esperienza fu ben accolta e, col tempo, si stabilì nella città. I suoi primi anni furono caratterizzati da una serie di cambiamenti di residenza, ma il destino sembrava sempre condurlo al quartiere del Bixiga, dove la comunità italiana era forte e accogliente.

Il Bixiga, noto per le sue case di commercio italiane e l'immersione culturale, divenne la nuova casa di Antonio. Fu lì che incontrò Maria, una donna affascinante che condivideva le sue radici italiane e i suoi sogni di una vita migliore. Si sposarono e formarono una famiglia, avendo quattro figli e, infine, dieci nipoti. La vita di Antonio fu segnata da duro lavoro, dedizione alla famiglia e una profonda gratitudine per le nuove opportunità.

La pensione, a 65 anni, portò ad Antonio la possibilità di riflettere sul suo viaggio. Si ritirò con orgoglio, ma non smise mai di essere attivo nella comunità. I suoi figli e nipoti erano la sua gioia più grande, e si dedicò a trasmettere i valori e la cultura italiana che amava tanto.

Antonio Mansuetto morì a 91 anni, lasciando un'eredità di duro lavoro e determinazione. La sua storia è una testimonianza dello spirito avventuroso e della capacità di trasformare le sfide in opportunità, sempre con uno sguardo rivolto a un futuro migliore.