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sábado, 1 de fevereiro de 2025

Le Mani che Sostengono il Domani


 

Le Mani che Sostengono il Domani


Le colonie italiane nel sud del Brasile, piantate nelle terre vergini della Serra Gaúcha, non erano solo il frutto del lavoro degli uomini, che disboscavano la foresta e aravano il terreno. Le donne, con le loro mani callose e le anime resilienti, erano il fondamento invisibile, il pilastro silenzioso che sosteneva il futuro. Carmela, una di queste donne, con occhi che riflettevano il dolore della distanza e la luce della speranza, era diventata il simbolo stesso di questo sacrificio, di questa dedizione totale che manteneva in movimento gli ingranaggi della vita coloniale.

Da quando avevano lasciato il piccolo villaggio nella provincia di Veneto, il cammino di Carmela era stato un continuo esercizio di adattamento e rinuncia. Durante la traversata che li portò in Brasile, aveva perso sua madre nelle acque agitate del mare, ma non versò una lacrima. Sapeva che la sua responsabilità era più grande del lutto; era la forza motrice della sua famiglia. Una volta giunta alla colonia, il peso della nuova vita ricadde sulle sue spalle senza chiedere permesso. Suo marito, Pietro, affrontava il duro lavoro della terra, ma Carmela, con il ventre che cresceva ad ogni stagione, si occupava di tutto ciò che restava – la casa, i figli, gli animali e, quando necessario, anche il campo.

Carmela si svegliava prima del sole. Con il primo canto del gallo, era già in cucina, preparando il pane per la giornata. I suoi figli dormivano ancora, rannicchiati sotto coperte logore, e Pietro era uscito prima di lei per lavorare nei campi. I suoi piedi nudi, che si muovevano sul pavimento di terra battuta, facevano un lieve rumore che solo lei percepiva. I compiti domestici sembravano infiniti: il fuoco che non doveva mai spegnersi, il latte che doveva essere bollito, il maiale che richiedeva attenzione. Ma era il campo a chiamarla con insistenza.

Lì, accanto a suo marito, il lavoro manuale non faceva distinzione di genere. La zappa pesava nelle sue mani tanto quanto in quelle di Pietro. Ogni solco scavato nel terreno sembrava rubarle un po' di forza, ma lei manteneva il ritmo. Non era solo il corpo a piegarsi sotto il peso delle mansioni; anche la sua mente portava il fardello invisibile delle responsabilità. Era lei a pensare ai figli, che più tardi avrebbero corso tra le file di mais, giocando come se il mondo fosse eterno e immutabile.

Quando nacque la prima figlia, Teresa, Carmela si sentì esausta, ma il suo spirito si riempì di una forza nuova. Lì, tra i dolori del parto e la gioia della nascita, capì che essere donna in quella colonia significava essere il ponte tra il passato e il futuro. La maternità non era una scelta; era un dovere. Teresa, come gli altri suoi figli, avrebbe imparato fin da piccola a condividere le responsabilità della vita coloniale. Carmela, però, non lo vedeva come un'imposizione. Per lei, era l'essenza dell'esistenza, il ciclo continuo del dare e nutrire, che manteneva la ruota della vita in movimento.

La vita seguiva quel ritmo inesorabile. Tra le stagioni di semina e raccolto, la nascita di nuovi figli e le perdite che la colonia imponeva, Carmela continuava a scolpire, giorno dopo giorno, un'esistenza di sacrificio e perseveranza. Pietro, a volte, si perdeva in riflessioni silenziose, osservando quanto sua moglie si sobbarcasse, non solo sulle spalle, ma nel cuore. Sapeva che, senza di lei, non sarebbero arrivati così lontano. Non c'erano medaglie per lei, nessun riconoscimento pubblico. C'era solo il rispetto silenzioso di chi comprendeva il vero peso del suo cammino.

Con il passare degli anni, il volto di Carmela si indurì. Le rughe che comparivano intorno ai suoi occhi non erano solo segni del tempo, ma testimoni delle lunghe giornate, del dolore di seppellire amici e di vedere figli ammalarsi. Eppure, nel suo sguardo c'era una serenità incrollabile, come se sapesse che la sua missione fosse più grande di ogni sofferenza. I suoi figli crescevano forti e la colonia prosperava lentamente, con ogni casa che si alzava dal terreno come se germogliasse dalle mani callose delle donne che vi abitavano.

Quando scendeva la sera, dopo una lunga giornata di lavoro, Carmela riuniva i figli intorno al focolare. Raccontava storie dell'Italia, della vita che un giorno avevano lasciato, non con nostalgia, ma con gratitudine per aver trovato una nuova casa. Sebbene il Brasile fosse una terra di sfide, era anche il luogo in cui aveva messo radici. Ogni pezzo di legno che alimentava il fuoco sembrava risuonare con il ricordo degli antenati, e il calore che emanava scaldava non solo il corpo, ma l'anima della sua famiglia.

Alle feste della colonia, le donne, vestite con abiti semplici, sorridevano e ballavano al suono delle vecchie canzoni italiane. Per un breve momento, dimenticavano le durezze della quotidianità. Ma anche in quei momenti di gioia, gli occhi di Carmela tornavano sempre ai campi, alle responsabilità che attendevano l'alba. Sapeva che, a differenza degli uomini, che potevano riposare dopo il lavoro manuale, il suo impegno continuava. La casa non taceva mai, i figli non smettevano mai di richiedere cure.

Gli anni passarono e Carmela vide i suoi figli diventare adulti. Alcuni si sposarono e formarono le proprie famiglie, altri partirono in cerca di nuove opportunità. La colonia continuava a espandersi e, con essa, l'eredità delle donne che l'avevano costruita. Ora, con i capelli grigi e le ossa stanche, Carmela poteva guardare indietro e vedere tutto ciò che aveva costruito. Ma, anche così, il lavoro non finiva. Continuava a prendersi cura della casa, ad aiutare figli e nipoti, a trasmettere le sue storie e i suoi valori.

Guardando l'orizzonte, dove il sole tramontava dietro le colline, Carmela capiva che la sua vita era quella di tante altre donne che si erano sacrificate in silenzio. Non c'erano monumenti eretti in suo onore, ma i raccolti, le case e le famiglie erano la prova vivente della sua dedizione. Sapeva che il futuro, sebbene incerto, sarebbe stato plasmato dalle mani forti e invisibili delle donne immigrate. Quelle mani che, senza clamore, avevano innalzato il sogno di un nuovo mondo in terre lontane.

La colonia prosperava, ma Carmela e tante altre donne continuavano a essere le forze motrici invisibili. Mentre gli uomini venivano celebrati per le loro conquiste, loro erano le ombre dietro al successo, quelle che garantivano che tutto funzionasse, che la casa fosse sempre un rifugio sicuro. E così, silenziosamente, lasciarono il loro segno indelebile nella storia delle colonie italiane.


quarta-feira, 23 de outubro de 2024

Na Stòria de Vita

 


Na Stòria de Vita

Carmela la ze nassesta nel 1890, in te na pìcola frasion de la provìncia de Padova, in Itàlia, circondà de monti verdi e un fiume tranquilo. Fin da toseta, la gà imparà el valor de la famèia e del laoro duro, aiutando i so genitori ´ntel laoro nei campi e curando i fradèi pì pìcoli. Con alora 20 ani, qualchi ani prima de la Granda Guera, la se ga sposà con el sartor Michelle, un toso pien de sòni che ghe gà promesso na vita de aventure e amore. Insieme, lori i ze emigrà sùito dopo a São Paulo, in Brasile, che la zera deromai na grande sità, ndove i gà tirà su i so quatro fiòi in na casa modesta, ma sempre piena de risi, stòrie e con el olor consolante de la cusina casalinga.

Carmela la zera na gran cusiniera, conossùa par i so rotóli de carne mascinà e i so ovi farcì, che i fasea sempre festa ne le zornade de famèia. Oltre a questo, la so abilità nel pontacruzo trasformava teli semplici in òpere d’arte che ricamava la so casa e che i zera dati in regalo ai so cari. La vita la zera semplice, ma piena, e Carmela la zera fiera de vardar i so fiòi crèscer e intraprender la so strada.

Con el tempo, i fiòi i ze sposà e i gà avù i so fiòi. Carmela la ze diventà nona e, dopo, bisnona. La so casa, che una volta la zera silenssiosa, la se ze de novo impinì de risi de toseti e de stòrie contade intorno a la tola. Ma, con el passar de i ani, le visite le ze diventà sempre pì rare. I so nevòdi, ciapadi da le so vite, i gavea sempre manco tempo de vardarla. I fiòi, che i zera zà inveciài, i zera presi da le so responsabilità, e a la fine l’idea de vardar Carmela la ze diventà un peso che nessun parea pì disposto a portar.

Con la salute che la ze pegiorà e Michelle oramai morto, Carmela la ze stà portà in un ricovero par vèci. Là, in una stanza de 12 metri quadrati, la gà scomenssià a passar i so zornade. I mobili che i zera sui, i ze restà indrìo; solo qualche foto e ricordi i ze vignù con lei. Carmela, che la gavea 89 ani, la se catava circondada da zente sconossùa, in un ambiente che, anca se neto e ben organisà, ghe pareva fredo e lontan.

Lei tentava ancora de tegnerse ocupà con passatempo e parole incrosà, ma gnente la podea sostituir la giòia de gaver la so famèia visin. Le visite de i fiòi e dei nevòdi i ze diventà eventi sporàdici, e Carmela la se catava a contar i zorni par ogni visita, solo par restar delusa quando queste se fasea sempre pì rare. Ne le note solitàrie, la teneva le foto de la so famèia, tentandose de ricordar el calore de quei zorni che pariva tanto lontani.

Carmela la gà inisià a coinvolgersi ne le atività del ricovero, aiutando chi stava peso. Ma lei savéa che no dovea atacarse massa, parchè la vedea spesso questi novi amici sparir, portài via da la morte. La solitudine la ze diventà na so compagna constante, e Carmela, no ostante tuto, la tentava de mantegner la speransa e la dignità.

Ne le so riflession, Carmela la se domandava el senso de na vita longa, specialmente quando la ze vissùa in solitudine. Lei pensava a le generassioni pì zovani e a quel che lori i podea imparar da la so esperiensa. La famèia, lei la credeva, la ze la base de tuto, e la dovea èsser curada e preservada con amore e dedissione. Lei sentiva che la so vita, anca se longa, la stava rivando a la fine, ma la sperava che la so stòria la podesse servir de lession par quei che sareve vignùdi dopo de lei.

Carmela no la gà mai portà rancore, ma la sentiva na tristessa profonda par vardar la so vita, che na volta la zera tanto piena de significà, ridota a la spetativa de la fine. Lei ghe desirava che i so fiòi lori i capisse el valor del tempo, che i se ricordasse de l’amore che lei ghe gavea dà e che lori ghe lo restituisse fin che l’era ancora possibile. Lei savéa che la morte la zera inevitàbile, ma la ghe desirava che i so ùltimi momenti i fusse circondà de amore, no de muri vuoti.

Nei so ùltimi zorni, Carmela la vardava le foto, sussurrando orassioni silenssiose. Lei savéa che presto la se saria reunida con Michelle e con i amici che lei gavea perso lungo i ani. E, con un sospiro, la acetava el so destin, desiderando solo che la so vita, anca ne i ùltimi momenti, la ghe gavessi algun significà par quei che lei gavea amà.