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La contrapposizione tra lingua e dialetto è un fatto antico
Già nel Vangelo (Matteo, 26 – 73) si legge che Pietro venne riconosciuto da un’addetta al Sinedrio a causa della sua parlata, fatto che conferma che perfino Gesù e gli Apostoli usassero con disinvoltura tale linguaggio.
Con l’apparizione del “volgare” la resistenza della lingua dotta deve essere stata tenace, a giudicare dai monumenti letterari in latino, peraltro pregevoli, risalenti ai secoli tra il X e il XIV. Altri tentativi di rivalsa furono esperiti nel XV secolo, durante l’Umanesimo. Poi il “volgare” rimase l’indiscusso interprete delle rispettive culture.
Diverso fu tuttavia l’uso che della lingua “volgare” fecero gli abitanti della città e della campagna.Entrambe le classi adattarono il linguaggio alle circostanze e finalità quotidiane, spesso impermeabili anche se conviventi nelle medesime località.
Non ne seguì una contrapposizione come al tempo della comparsa del “volgare”, bensì un consolidamento di due modi di parlare, che si concretò anche in una generale dimensione di derisione, e spesso di disprezzo, nei confronti di quanti usavano il linguaggio parlato nella campagna.
E’prova di quanto sopra la comparsa, verso il XII secolo, del termine francese “patois”, che divenne successivamente sinonimo di “dialetto”. Anche il linguista francese Albert Dauzat (1877 – 1955) concorda che la parola “patois” deriva dal francese “pattes”, cioè “piedi”. Sarebbe come dire che gli abitanti della campagna parlano con i piedi.
Gli abitanti della campagna parlano invece, come tutti gli esseri umani, con gli organi della fonazione sapientemente e senza discriminazioni elargiti da madre natura!
CARATTERISTICHE DELLA LINGUA
Lo spagnolo, il francese, l’italiano, l’inglese… sono lingue. E che sarebbero mai il veneto, il bergamasco, il romagnolo? Si tratta forse di banali grugniti, di ragli sonori oppure di sommessi belati?
Il glottologo Angelo Monteverdi (1886 – 1967) sostenne che un linguaggio che servisse a scrivere poesie, prosa di svago (racconti, fiabe, romanzi, canzoni…), prosa devozionale (prediche, vite di santi, catechismi), nonché atti giuridici e notarili, non è una lingua. Soltanto quando un linguaggio dimostrerà la sua idoneità in tutti i campi culturali, compresi i settori politico e amministrativo, può essere considerato una lingua.
Ne consegue che il francese del XII secolo, il prestigioso linguaggio della Chanson de Roland, non era una lingua. Nemmeno l’italiano di Dante, Petrarca, Boccaccio era una lingua!- Bisognerà attendere il Quattrocento, quando il dialetto toscano penetrerà anche nell’Italia Settentrionale, nonché la sua normalizzazione condotta da Pietro Bembo (1470 – 1547) e dai teorici successivi. Anche il catalano sarebbe una lingua da poco tempo.
Se questa considerazione vale per lo sviluppo, essa deve valere anche per il declino delle lingue, comprese quelle che sono ritenute eterne.
Le caratteristiche necessarie per definire una lingua possono essere sintetizzate come segue:
1. Originalità grammaticale:
a) nella fonetica,
b) nella morfologia,
c) nel lessico;
Originalità della genesi storica
3. Secolare tradizione letteraria
4. Coiné linguistica
5. La coscienza di parlare una lingua
6. L’esistenza di un corpo sociale che la consideri come espressione di cultura.
LA LINGUA VENETA
Le prime cinque caratteristiche sono pacificamente presenti nel linguaggio veneto. Troppo lunga sarebbe l’elencazione dei loro tratti, ma basti pensare alla presenza dei suoni come “dh”, “th” e “zh”, all’assenza del passato remoto e alla mutilazione del futuro, al cospicuo contingente di vocaboli assolutamente originali, alla vasta serie di voci latine semanticamente differenziatesi dai continuatori delle stesse basi nelle altre lingue romanze.
Il veneto fu per secoli una vera lingua che servì negli atti notarili, nei rapporti diplomatici, nella storiografia, nella poesia, nel teatro, nella conversazione colta dei ceti più elevati, nelle transazioni internazionali.
Da un’indagine sul Veneto, redatta per ordine di Napoleone nel 1806 da estensori impazienti di poter dimostrare che nulla era il resto del mondo di fronte ai lumi della ragione di estrazione francese, risulta inoltre che “il notissimo bel dialetto tuona maestoso nel Foro”.
Quanto alla coscienza di parlare una lingua, l’esatta dimensione di questa realtà può desumersi dall’alto grado di ostilità contro il veneto, che non sarebbe tale qualora l’avversario da smentire non fosse così grande.
Viene spontaneo chiedersi come mai una tale lingua, come la veneta, possa essere improvvisamente declassata a dialetto per cedere il passo ad un altro dialetto, quello toscano. Nessuna giustificazione è valida, se non quella della costrizione o del gioco di potere. Ma, come si sa, il potere può anche disgregarsi col tempo.
L’attuale situazione e la mentalità che ne deriva riservano dunque al riconoscimento dello Stato l’ultima parola in fatto di classificazione di una parlata come lingua o come dialetto. Se ciò fosse logico, non è da escludere che il romagnolo parlato anche a San Marino possa diventare lingua ufficiale a tutti gli effetti, se il Governo di quella Repubblica lo deliberasse. Ciò è peraltro già avvenuto in Vaticano, dove l’italiano ha soppiantato il latino.
Ritorna spontaneo chiedersi se, con tali presupposti, la differenza tra lingua e dialetto esista davvero, oppure sia solo strumentale a questo o quel potere.
LA CONGIURA CONTRO IL VENETO
Per secoli la contrapposizione linguistica tra città e campagna in Veneto fu molto lieve: tutte le classi parlavano veneto. Più recentemente si manifestò il disegno di imporre il toscano, peraltro già superato dal linguaggio dei politici (l’italiese) e da quello televisivo anche nelle circostanze in cui tale veicolo è tutt’altro che indispensabile, come l’ambito familiare, le comunità agricole, l’artigianato…, settori da sempre ancorati ad una dimensione veneta che ha delineato l’inconfondibile identità di queste colonne della società veneta.
Forse il vero bersaglio non è il modo di parlare veneto (a chi gioverebbe ?), ma la società veneta colpevole di essere dinamica, disciplinata, non incline a subire ricatti ed ottica mafiosi. Si vuole eliminare in fin dei conti un modello di società diverso da quello che si desidera avere.
Le metodiche per realizzare la congiura contro il veneto sono le solite:
– derisione mediante stereotipi di involontaria subalternità (la classica serva!) appartenenti al passato prossimo;
– discriminazione nella scuola e nella pubblica amministrazione;
– svalutazione dei contenuti linguistici propri del popolo veneto.
E’qui il caso di ricordare per analogia il comportamento dei francesi in Algeria durante la colonizzazione. Per convincere gli algerini a rinnegare la propria lingua araba e adottare il francese dei colonizzatori, quest’ultimi ripetevano (a mò di lavaggio del cervello) che l’arabo non era adatto ai tempi moderni, in quanto lingua medioevale sorpassata e incapace di adeguarsi al mondo industrializzato. Ora, stranamente, Parigi è la città con il più alto numero di scuole di arabo in Europa. Come coerenza, non c’è male.
Si traggano le debite deduzioni anche per quanto riguarda l’attuale denigrazione del veneto, intesa a classificare come cittadini di categoria inferiore coloro che lo parlano.
LA PRETESA SUPERIORITA’ DELLE LINGUE MAGGIORITARIE
Si dimentica troppo spesso che l’italiano fu il dialetto di Firenze, come il francese fu il dialetto di Parigi.
Nessun termine di cultura appartiene originariamente a queste lingue, in quanto la quasi totalità dei termini della cultura moderna provengono dal greco, dal latino, dall’inglese o da altre lingue. Parole come “teologia”, “chimica”, “computer”, “scienza”, “nevralgia”…erano parole sconosciute a quanti parlavano toscano qualche secolo fa.
La Columbia University ha compiuto un’indagine sorprendente su un vocabolario etimologico francese contenete ben 4.635 vocaboli base. Eccone i risultati: 2’028 termini provengono dal latino, 925 termini derivano dal greco, 604 vocaboli sono di origine germanica, 154 parole derivano dall’inglese, 96 dal celtico, 285 dall’italiano, 119 dallo spagnolo, 146 dall’arabo, 10 dal portoghese,, 36 dall’ebraico, 4 dall’ungherese, 25 dallo slavo, 6 da lingue africane, 34 dal turco, 99 da differenti lingue asiatiche, 62 da lingue indigene americane, 2 dall’Australia e Polinesia. Parole francesi: zero.
Vocaboli derivati dal latino: il 43%. Poco per una lingua che si definisce neolatina.- E’stato intenzionalmente scelto un esperimento riguardante il francese per non urtare suscettibilità e per amore dell’imparzialità, ma chiunque può, per analogia, giungere a ben altre conclusioni anche rispetto all’italiano.
Dove risiedono, dunque,le motivazioni di una pretesa superiorità di altre lingue su quella veneta? Perché mai la lingua veneta dovrebbe avere un complesso di inferiorità?
RISULTATI DELLA CONGIURA CONTRO IL VENETO
Gli spropositi linguistici ottenuti con lo stemperamento del veneto ad opera dell’italiano sono innumerevoli.Parte di tali risultati è stato purtroppo raggiunta grazie alla passività, alla collaborazione o alla complicità di taluni veneti, il cui autolesionismo supera in ciò perfino la loro tradizionale laboriosità.
I seguenti tre casi possono dare un’idea dei risultati ottenuti:
a) Una mammina rimprovera bonariamente il proprio figlio per aver indossato il pullover in maniera sbagliata: “Ma, Pierino, non vedi che hai infilato su il davanti per il di dietro?”
b) Una zitella in partenza per fare la conoscenza con i futuri parenti, compari,ecc., chiede al ferroviere: “A che ora parte la stazione?”
c) Uno scolaro, con riferimento ai bachi da seta (i mitici “cavalièr”!), che quando diventano gialli non fanno bozzolo, vanno cioè “in vàca”: “Tutti i cavalieri della mia mamma sono andati a puttane”.
d) Un cittadino trevisano, richiesto se gli piacesse la domenica senza automobili, rispose: “piacissimo!” (TG1, 23.01.2005).
CONCLUSIONI
Esiste un interesse estraneo affinché i Veneti siano laboriosi (in modo da pagare tante tasse), stupidi (in modo che altri facciano ciò che vogliono), rinunciatari (in maniera che altri abbiano radio, televisione, giornali, scuole), rassegnati quando la fabbrica chiude (in modo da emigrare senza creare problemi alla gerarchia stabile importata).
Esiste un interesse dei Veneti affinché:
– la lingua materna dei veneti e di ogni altro popolo rimanga lo specchio dell’uomo e il veicolo verbale di ogni gente;
– non si verifichino l’alienazione di se stessi, il naufragio del singolare e il sacrificio dell’identità primigenia;
– i titolari della parlata veneta e di altri linguaggi non diventino tributari del neoimperialismo linguistico, cui corrisponde la crisi del rigetto psichico;
– venga rispettato da tutti il diritto alla parlata locale come momento espressivo prioritario;
– non intervenga la servitù culturale, che non sarà mai origine di miglioramento;
– il linguaggio pubblico non separi dal mondo dei sentimenti, dalla legge del cuore e dalla saggezza della coscienza;
– il monolinguismo alienante non turbi le leggi biologiche ed i limiti ecologici.
Abbandonare la propria lingua materna non significa sbagliare un calcolo, ma deviare la destinazione della vita.
OSSERVAZIONE FINALE
Gli avversari della lingua e dell’identità venete conoscono perfettamente la teoria della penetrazione indolore. Essi sanno anche che cosa significherebbe il risveglio di un popolo di oltre cinque milioni di individui e procedono, perciò, con estrema cautela, fermandosi in caso di resistenza.
La narcosi fa parte della tattica ed è condizione indispensabile durante questa operazione di amputazione, cui il popolo veneto è sottoposto. La narcosi è il nemico da battere, altrimenti si verificherà una perdita ancora maggiore di quella sofferta dal popolo veneto, quando la sua parte migliore fu mandata a morire sul fronte russo…
Prof. Nerio De Carlo
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Dr. Luiz Carlos B. Piazzetta
Erechim RS