Aldo Rozzi Marin
Presidente dell’Associazione Veneti nel Mondo
Le radici profonde non gelano, scriveva Tolkien ne “Il Signore degli Anelli”. E’ questo il motto della Veneti nel Mondo, che esprime l’essenza del nostro essere associazione: vivere riconoscendo le proprie origini, il legame con la Patria, un impegno morale quotidiano per mantenere una cultura, ricevuta da genitori e nonni, che vogliamo preservare e rinnovare di generazione in generazione, insieme alla memoria delle storie individuali e collettive di un popolo che ha lasciato, e purtroppo continuare a lasciare, la propria terra.
Identità. Le parole chiave di quelle storie sono identità, tradizione e fierezza, che prendono forma in una cultura vissuta in famiglia, nella scuola, nelle feste, nel lavoro e in Chiesa.
Tante storie di oriundi, rappresentanti di tutte le province del Veneto. Sono nonni, padri e madri, figli, nipoti che hanno un pezzo di Veneto nel cuore; famiglie, oggi perfettamente integrate, che hanno contribuito negli anni a fare la storia di ogni paese in cui si trovano, ma con uno sguardo rivolto sempre alle proprie radici.
Tra i sentimenti che colmano i cuori e danno parole agli stati d’animo emerge la nostalgia della Patria lasciata. Come mi disse un emigrante di Treviso a Lima: “Il mio ricordo e la mia mente ritornano spesso indietro con gli anni nel mio Veneto, riaffiorano le mie emozioni vissute in quella terra e provo molta nostalgia”. Molti emigrati nel dopoguerra hanno sognato di tornare in Veneto, alla loro terra, alle loro montagne, alle loro città. Un’altra migrante mi disse che il Veneto le mancava e “sinceramente io volevo ritornare in Italia, ma mio marito si sentiva in obbligo con il Perù che gli aveva dato tanto”. La nostalgia è vissuta come lontananza da parte di coloro che sono partiti e come orgoglio di mantenere le radici da parte dei loro figli e nipoti.
La fede accompagnava la vita degli emigranti; parliamo di fede viva negli atti pubblici di culto, nelle cerimonie civili e nelle processioni religiose, nel lavoro, nella costruzione delle città (lo testimoniano i nomi dati ai paesi e la toponomastica in generale), nell’edificazione delle chiese, nei monumenti, nell’arte e nella cultura, nella vita intima, familiare, sentimentale. Religione e identità erano insieme. In chiesa si era accolti dalle statue di santi nati o venerati nelle città da dove provenivano i propri avi. In particolare io ricordo San Pio X, quel grande Papa nato in provincia di Treviso, così povero che, per non consumare le scarpe, da bambino andava a piedi nudi a scuola. E’ in questo contesto che abbiamo ricevuto dai nostri nonni come un dono, e fatto nostro, il senso di vivere insieme con gli altri, condividendo con altri oriundi veneti, a partire dalle stesse radici, un progetto di vita. Su questi principi si basano la convivenza umana, il rispetto reciproco, diritti e doveri, che creano i nostri rapporti affettivi, ideali, culturali, ben al di sopra delle relazioni strumentali, commerciali o tecnologiche di oggi.
Nel Veneto costruito oltre oceano si riflette la nostra cultura: il lavoro, come valore di vita, da tramandare alle future generazioni; il senso del sacrificio, presente nella lunga traversata oceanica e nel duro viaggio per terra, nella fatica del lavoro e nella nuova vita da costruire, l’iniziativa imprenditoriale, che ha portato molti a raggiungere importanti risultati e a creare vere fortune, e soprattutto l’onestà, che ha caratterizzato il comportamento dei nostri all’estero. Lavoro e sacrificio rimangono indissolubilmente legati alla storia dell’emigrazione che non può dimenticare la tragedia di Marcinelle, in Belgio, dove l'8 agosto 1956 molti minatori veneti insieme ad altri emigrati italiani ed europei sono morti nella miniera di carbone.
1 A cura di Aldo Rozzi Marin, avvocato e presidente dell’Associazione Veneti nel Mondo, con sede a Camisano Vicentino. Nato a Santiago del Cile, a 26 anni si è stabilito in Veneto. Autore di pubblicazioni e articoli sull’emigrazione veneta in Sud America è membro della Consulta regionale dei Veneti nel Mondo. Articolo tratto dal libro “Il rischio della Libertà” di Roberto Ciambetti e Davide Lovat, outsphera srl, 2016.
Tra gli elementi che accomunano le storie dei veneti nel mondo, oltre al senso dell’identità e al valore del lavoro c’è l’attaccamento alla famiglia – alla vita in famiglia - e la fede religiosa. La religione è tuttora intensamente sentita, anche perché sacerdoti cattolici di diversi ordini religiosi hanno condiviso, fin dal primo momento, le sorti di chi espatriava. Infatti c’è stata anche un’altra categoria di “emigranti”: i missionari. Partiti senza dubbio con finalità e sogni diversi, anche loro, come gli altri emigranti, conservano la stessa passione, lo stesso ricordo, a volte la stessa nostalgia della terra d’origine. Li si ritrova impegnati tra i più poveri in America Latina, in Africa, in Asia. In silenzio hanno realizzato piccole grandi opere: ospedali, scuole, centri di formazione. Inoltre le chiese sono state fino ad oggi i principali centri comunitari non solo religiosi ma anche di organizzazione sociale e culturale, e intorno ad esse si sono formate via via le parrocchie e i municipi.
Lo stile di vita veneto che si esprime anche nelle abitudini quotidiane e nella gastronomia, nella coltivazione dell’orto e del vigneto, e nella lingua, si è stato mantenuto, a migliaia di chilometri dal Veneto, fino ai nostri giorni. Una emigrata di prima generazione mi ha confidato che all’inizio le differenze culturali sono state notevoli ma poi sono riusciti ad integrarsi completamente. Anche perché siamo lavoratori onesti, semplici e soprattutto non arroganti, pronti ad aiutare chi ha bisogno. Se dai, ricevi. “Io mi sento veneta; per me essere veneta è la mia forma di vita”.
Nel paese scoperto da Pigafetta. Anche per me è stato così. Dalla famiglia di mio padre e da quella di mia madre sono partiti come tanti con il sogno di una vita migliore e le valigie piene di speranze, facendo dei sacrifici enormi, percorrendo distanze impressionanti. Alcuni fratelli in Brasile, altri in Uruguay, altri in Argentina e poi in Cile. Io sono nato in Cile, a Santiago, “San Giacomo”, e come famiglia abbiamo terra in Patagonia, anche nella zona dello stretto di Magellano dove è arrivato Antonio Pigafetta, il primo veneto e il primo abitante della penisola italica che ha messo piede in Cile. Il nobile vicentino al seguito di Magellano nel viaggio di circumnavigazione del globo terrestre (20 settembre 1519 - 6 settembre 1522) è stato uno dei pochi superstiti che riuscirono a rientrare in patria dopo tre anni di navigazione. Ha pubblicato Relazione del primo viaggio intorno al mondo, considerata uno dei più preziosi documenti sulle grandi scoperte geografiche del XVI secolo.
Nel corridoio di casa nostra due bauli con le etichette della traversata in nave ci ricordavano fisicamente il viaggio dei nostri in America accompagnati da quei bagagli che contenevano anche la sofferenza dell’espatrio e la lacerazione degli affetti. Un viaggio che giorno dopo giorno assumeva una valenza molto forte: rappresentava il passaggio da una condizione ad un’altra, il distacco da ciò che è conosciuto e l’arrivo in un mondo diverso. Emigrazione nei miei ricordi sono le lezioni di fisarmonica del maestro italiano al quale chiedevo di insegnarmi soprattutto le cante alpine, cantare in coro le canzoni dei Belumat ai festival di musica, fare comunità con gli amici che avevano queste stesse storie in famiglia. E i pranzi del sabato (... come dimenticare i piatti di poenta e osei con le tortore cacciate del nonno) dove si aprivano le lettere arrivate dall’Europa e con grande attenzione e rispetto si ascoltava quello che ci raccontavano i parenti lontani, e il nonno ci insegnava, mostrandoci le foto dei quadri di grandi pittori, che è la cultura che ci distingue, e con fierezza ci ricordava che noi proveniamo da una terra che ne ha data tanta. Alle cerimonie dominicali non si poteva mancare: cerimonie ufficiali con le fanfare, i nostri veci vestiti da alpini o da bersaglieri, che dopo, con in mano un buon bicchiere di vino (magari il moscato fatto dallo zio Costanzo), cantavano Quel mazzolin di fiori o Mérica, Mérica e ci raccontavano le storie di guerra e come avevano conquistato le medaglie, sulle Alpi, in Africa e in Russia. Quelle medaglie rappresentavano la più grande eredità che un uomo poteva lasciare al proprio figlio. Per alcuni rappresentavano quattro anni rubati alla propria giovinezza in una guerra civile europea.
Questo è stato il mio mondo, la mia infanzia, e oggi per me la Patria è questo, è la mia casa, la mia lingua, il luogo delle origini, la terra dei padri nati in questo territorio. Questo sentimento è nato in famiglia all’inizio, ma poi è diventato grande e mi ha riportato qui, alle origini, dove si rinnova incontrando i miei fradei delle comunità venete all’estero, che sentono forte questi legami e coltivano il desiderio e l’impegno quotidiano di mantenerli vivi. Da oriundo veneto e da emigrante di rientro ha provato personalmente quello che molte centinaia di migliaia di compatrioti hanno vissuto; avendo conosciuto le nostre comunità venete del Sud America, dal Venezuela alla Patagonia, ringrazio Dio per quello che mi ha dato e per la possibilità di raccontare oggi in Veneto storie di oltreoceano fatte di identità, lingua, esperienze e memorie comuni, riunite sotto l’auspicio: W San Marco!
Unità d’Italia, inizio della diaspora. Venezia. La vidi la prima volta nel 1986, a 21 anni, con i miei genitori. Nel passeggiare lungo le calli, confusi con i turisti, si guardano due Venezia, quella viva attuale, con i negozi, gli alberghi, i palazzi, i monumenti, e quella di un tempo che parla del suo mito. Venezia e l’altra Venezia. Sulla prima tutti puntano gli occhi, dell’altra pochi se ne occupano e rari sono quelli che prestano orecchio alla storia sussurrata da ogni sua pietra. Ricordo mia mamma aprire le finestre del palazzo e contemplare, più che il tramonto pieno di colori, quel posto spettacolare, lo sguardo rivolto verso Venezia con un’aria di familiarità, vicinanza all’anima della città, con la quale riallacciare il vincolo sciolto dall’emigrazione in terre lontane. Per lei e per noi Venezia non era un luogo come un altro. La domanda era immediata: perché la famiglia era dovuta partire? Questa memoria ci fa ripercorrere la drammatica epopea dei veneti che dopo l’annessione del Veneto all’Italia hanno lasciato affetti e beni per trasferirsi nella lontana “Merica”. Un intero popolo vedeva l’emigrazione come l’unica via di fuga, spesso sapendo poco o nulla delle destinazioni, senza parlare la lingua locale, senza conoscere la realtà che avrebbe trovato. Con sacrificio, lavoro e fede ha costruito chiese e città come Nova Venezia, Nova Padova, Nova Treviso, Nova Vicenza, Nova Bassano, Nova Schio, Monteberico, negli stati brasiliani di Rio Grande do Sul e di Santa Caterina, abitate ancora oggi per la maggior parte da veneti. In Argentina i veneti sono arrivati a Buenos Aires, Rosario, Santa Fé, Cordoba, Mendoza, Bariloche. Nelle miniere e nella foresta amazzonica del Perù tanti emigranti della Valle Agordina hanno cercato di costruirsi una nuova vita. Molti di questi colonizzatori laboriosi, che hanno saputo affrontare avversità, privazioni e sforzi enormi, con il tempo sono stati dimenticati, ma tutte le loro conquiste fanno parte della storia del Perù. Con il loro lavoro hanno contribuito allo sviluppo del paese, costruendo centrali idroelettriche, oleodotti, peschiere, e molte altre opere.
L’inizio dell’emigrazione di milioni di veneti si registra quando dalla Serenissima Repubblica di Venezia, che era uno degli stati più forti e ricchi d’Europa, passando per l’invasione napoleonica, e l’occupazione austriaca, si arriva all’unità d’Italia. Le cause principali del fenomeno dell’emigrazione veneta furono la miseria, se non addirittura la fame, condizioni di vita durissime, con una mortalità infantile molto alta: molti bambini muoiono alla nascita o prima di compiere cinque anni, e con una violenza diffusa, sia di delinquenza comune che di carattere politico contro la piemontizzazione.
Il nuovo Stato impose subito pesanti tributi a carico soprattutto dei contadini come la tassa sul macinato, cioè l'imposta sulla macinazione del grano e dei cereali in genere. Come effetto più diretto, la tassa sul macinato causò un forte incremento del prezzo del pane e, in generale, dei derivati del grano e degli altri cereali, prezzo che non scese dopo l'abrogazione della tassa. Un'altra forte conseguenza del provvedimento fu la progressiva chiusura di gran parte dei piccoli mulini. A seguito dell'introduzione della tassa scoppiarono in tutta Italia violente rivolte, che furono represse duramente, a volte nel sangue e si assistette all’emarginazione delle classi rurali dell’epoca.
Altre misure adottate dal nuovo Stato furono: la coscrizione obbligatoria di una classe (il servizio militare volgarmente conosciuto come naja), introdotta la prima volta ai tempi di Napoleone e poi in vigore dopo l'unità nazionale (1861). La meccanizzazione dei campi non era ancora arrivata e l’agricoltura era il principale settore dell’economia. I contadini che avevano famiglie numerose si trovarono senza la capacità di coltivare i campi con i figli fuori casa per vari anni.
Inoltre con l’annessione al regno d’Italia il Veneto aveva perso il mercato austroungarico; fallaci propagande avevano alimentato nei nostri contadini il sogno della proprietà della terra in Sud America. Tra le cause del fenomeno emigratorio vanno ricordati anche i motivi religiosi. Molti sono esuli in nome della loro religiosità aggredita e umiliata. L'Italia risorgimentale, intollerante e sfruttatrice, disgusta il popolo delle campagne spingendo molte famiglie a lasciare i loro campanili per cercare, soprattutto in Brasile, dignità e libertà. Spicca, fra tutte, la storia di Paolo Bortoluzzi e della sua famiglia patriarcale, che contesta l'Italia di allora nel segno della tradizione religiosa. Questa storia è ben raccontata da Ulderico Bernardi2 e chi visita il Museo storico di Vale Vêneto, situato nel comune di São João do Polêsine nel Rio Grande do Sul può avere la possibilità – come è capitato a me – di conoscere i discendenti dei Bortoluzzi.
Infine, le Politiche di immigrazioni del Nuovo Continente che favorivano l’emigrazione europea. I paesi sudamericani, soprattutto Argentina e Brasile, avevano l’esigenza di ricevere migranti perché erano paesi spopolati e avevano necessità di contadini per le coltivazioni. La stragrande maggioranza delle prime correnti immigratorie era composta da contadini che portarono nel nuovo territorio le colture e i metodi agricoli tipici delle loro zone di provenienza. A questi si aggiunsero artigiani e commercianti.
Bisogna tenere presente che in Brasile è esistita la schiavitù fino al 1888. I veneti hanno occupato i posti di lavoro rimasti liberi nelle aziende agricole dopo l’abolizione della schiavitù, e dove gli schiavi non c’erano, come in Rio Grande do Sul, andavano a trasformare le foreste in terre fertili per l’agricoltura. Ricevevano un “lotto di terra” e gli strumenti per disboscare. In alcuni casi gli emigranti dovevano pagare un affitto per il terreno prima che diventasse di loro proprietà. Arrivati a Santos, ripartivano per Porto Alegre, e da lì venivano trasportati in barconi sui fiumi fino alle foreste (anni 1875/1876).
I veneti all’estero si sentono parte del popolo veneto. In questo contesto prende avvio l’emigrazione veneta e italiana, che in pochi anni diventa emigrazione di massa, verso tanti paesi del mondo. Lì sono cresciuti i nostri “cugini” d’oltre mare, portando con sé i valori di onestà e laboriosità che contraddistinguono da sempre il popolo veneto, così come la forte vocazione imprenditoriale. Di recente sono stato nel Rio Grande do Sul e visitando posti così diversi ma allo stesso tempo uguali ai nostri, si capisce quanto i veneti del Brasile siano legati alle loro radici, quanto sia importante mantenere i valori che i loro antenati hanno portato in Brasile dal Veneto, quanto ci tengono a conoscere sempre di più la loro terra di origine e a stringere il legame con essa. Gente che ti riceve come fossimo vecchi amici o parenti da tempo separati. E’ una enorme emozione poter solo vedere da spettatore quello che è stata l’opera compiuta dai contadini veneti in una terra impregnata di sudore e fatica, dove l’identità non è stata smarrita, ma si conserva nel cibo, nelle storie del filò, nelle vie, nelle case, nelle chiese e persino nelle messe in veneto... Durante un’intervista, un affascinante signore di 60 anni che parlava il venetobrasiliano diceva che inseguire un sogno richiede grandi sacrifici, ma ad un certo punto è giusto trovare la gratificazione dei risultati e a lui era andata così. Alla domanda se sentisse il desiderio di vedere l’Italia, i suoi occhi si riempirono di lacrime sincere, che esprimevano quanto gli mancasse quel collegamento con le sue radici. In quel momento ho
2 Ulderico Bernardi, Il lungo viaggio, Dalle terre venete alla selva brasiliana, Editrice Santi Quaranta, 2007, pp. 192
capito che anche in Brasile affondano profonde le nostre radici perché lì abbiamo dei fratelli veneti che piangono al ricordo di una terra che non hanno mai visto, ma che chiamano patria!
Queste persone rimango sempre veneti nel cuore e sono parte di una comunità allargata dove, anche grazie alle nuove tecnologie, non ci si perde di vista, dopo essersi rincontrati a distanza di tanto tempo. Ed è proprio questa sensazione che si prova visitando quei luoghi e conoscendo con quelle persone: si torna a casa, ci si sente uniti da un legame speciale, si riceve un tale affetto incondizionato che è impossibile dimenticare e non ricambiare.
Lingua veneta. E’ un fenomeno interessante, sotto tanti punti di vista: storico, sociale, culturale, linguistico. Attualmente nel sud del Brasile la lingua veneta è viva, è parlata quotidianamente. Dopo centoquaranta anni dall’arrivo dei primi emigranti, passato un periodo in cui il governo del presidente Getúlio Vargas aveva proibito di insegnare o parlare il veneto-brasiliano, la lingua di origine è usata come lingua di comunicazione familiare, interfamiliare e comunitaria, in determinate occasioni (feste, ricorrenze, giochi, riunioni conviviali, ecc.); il livello di conservazione e il grado di vitalità, soprattutto nelle campagne, spesso supera addirittura quello del Veneto. Con l’inizio del terzo millennio il veneto è riconosciuto come lingua ufficiale insieme al portoghese nella città di Serafina Correa, viene considerata parte integrante del patrimonio storico e culturale negli stati di Rio Grande do Sul e di Santa Caterina, ed è ricompresa nel patrimonio storico e culturale immateriale del Brasile.
In diversa misura il veneto è usato anche in altre comunità: nella località di Chipilo, in Messico, viene parlato nella variante conosciuta come chipileño. La lingua veneta è vista come espressione della cultura veneta, dà voce a quella identità alla quale con orgoglio non si vuole rinunciare. Come ha detto con sintesi mirabile un emigrante bellunese sulle Ande peruviane: “Veneto per me è parlare in lingua veneta, è mangiare veneto”.
Regione del Veneto. L’emigrazione ha coinvolto un numero impressionante di persone e ha toccato un territorio vastissimo per estensione. Alla vecchia emigrazione dobbiamo aggiungere, purtroppo, quella attuale che vede partire migliaia dei giovani veneti all’estero. Come ha evidenziato Luca Zaia, Presidente della Regione dal 2010: “L’emigrazione veneta è stata una delle più significative del secolo scorso. Una lunga epopea che ha intrecciato sacrificio, impegno, lavoro e dedizione a favore della crescita dei paesi che hanno ospitato i nostri antenati. Un’emigrazione imponente, che oggi conta milioni di oriundi nel mondo i quali sovente ritornano nella nostra terra, per interscambi culturali o professionali o semplicemente per riassaporare e riscoprire i territori della regione. In considerazione di questo flusso continuo la Regione ha sempre mantenuto le relazioni con le associazioni che operano all’interno delle nostre comunità all’estero”.3
Il nuovo Statuto del Veneto rende onore ai veneti nel mondo: l’art. 1 dichiara che il Veneto è regione autonoma, secondo il presente Statuto, in armonia con la Costituzione della Repubblica e con i principi dell’ordinamento dell’Unione europea ed è costituito dal popolo veneto e dai territori delle province di Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Venezia, Verona e Vicenza, aggiungendo che “Il Veneto, consapevole della storia comune, mantiene i legami con i veneti nel mondo, favorendo la continuità di rapporto e di pensiero e valorizzando gli scambi e i legami con i paesi nei quali vivono”. Oggi i veneti d’oltre mare vogliono sentirsi vicini alla loro terra d’origine, e la Regione del Veneto, proprio per rinsaldare questi legami di storia, sangue e cultura, assume iniziative dirette a favorire la realizzazione di interventi formativi e culturali e l'organizzazione di soggiorni culturali in Veneto, oltre a prevedere l'erogazione di borse di studio per giovani oriundi veneti residenti all'estero.
La gente veneta oltreoceano è sangue del nostro sangue, e pur avendo sofferto materialmente e moralmente l’emarginazione nella memoria di chi è rimasto, conserva quello che noi stiamo dimenticando: i valori propri del popolo veneto.
Un’opportunità per le nostre imprese. Gli oriundi veneti hanno saputo costruire il loro futuro nei paesi di immigrazione e in più, con le rimesse inviate ai parenti, hanno contribuito alla ripresa economica del Veneto nella seconda metà del Novecento. Oggi i veneti del Sud America – come nel resto del mondo -, sono un riferimento strategico, una fonte di collaborazioni imprenditoriali con le imprese venete, un termine importante per gli scambi commerciali. Alcune comunità venete si sono organizzate con dinamismo e con obiettivi molto ambiziosi di collegamento e di attività con il Veneto, sia nel settore culturale che nel settore economico.
Una rete estesa e qualificata di persone, che vogliono rapportarsi con la terra di origine, rappresenta un’opportunità per le nostre imprese. In questo senso la Regione del Veneto e l’associazione Veneti nel Mondo4 è impegnata a facilitare la conoscenza dei professionisti e delle imprese venete nel mondo e a favorire lo sviluppo dei rapporti tra chi lavora in Veneto e chi è di origine veneta e lavora all'estero ed è un vero e proprio agente naturale del “made in Veneto”: l’obiettivo è quello di potenziare la rete dei contatti tra i veneti per favorire l’ideazione e la realizzazione di progetti comuni di natura economica e imprenditoriale. I veneti nel mondo costituiscono un punto di forza, una grande ricchezza, sia per il Veneto sia per il paese estero di residenza.3
http://venetinelmondo.regione.veneto.it/ 4 www.globalven.org
San Marco. Infine, richiamo l’attenzione su un simbolo, che oggi si alza al centro delle piazze di molte cittadine del Sud America, ed è l’immagine della visione e dello spirito di Venezia, che ha governato il Veneto per dieci secoli, è sintesi della sua forza e della sua missione: il Leone di San Marco, la luce che unisce la Patria e il Cielo. Il senso radicato in un’identità tutta veneta diventa cattolico, universale. E la preghiera, quella silenziosa dei cuori e quella fragorosa dei campanili delle chiese, si leva in alto, portatrice di un anelito di libertà, di pace, di giustizia. Questo spirito dà speranza ad un popolo che l’ha persa, irriga i solchi dei campi, gli orti delle case, le viti delle colline, guida le mani degli artigiani, illumina le menti negli uffici, mette in moto le imprese, accende la creatività degli artisti, sprigiona la gioia di tutti di costruire un nuovo domani, vero, autentico, possibile. Più che rimpiangere ciò che è stata la Serenissima Repubblica, sono convinto che Venezia e il Veneto custodiscano ancora un seme per il futuro, che attende di fruttificare in un continente, l’Europa, dove altri popoli hanno fatto la storia, ma che senza Venezia non sarebbe stata la stessa. Non parlo solo dell’egemonia marittima e commerciale, dello splendore artistico, della difesa militare di fronte al pericolo musulmano, ma mi riferisco a tutti i mille anni di storia vissuta con la forza della fede.
Guardare a Venezia e a San Marco non è chiusura, né tanto meno perdere la dimensione di un’identità che è europea e cristiana: Venezia è dalla sua fondazione una città cristiana, è per essenza una città cattolica. E’ libera scelta del bene, che vale per ogni popolo. Se riusciamo a riconoscere questo carattere essenziale dell’identità veneta, potremo raccontare la storia di Venezia e del Veneto non come una semplice cronologia di fatti ma in maniera poetica ed esemplare, per aiutare i giovani ad educare i propri sentimenti conservando la memoria delle grandi epopee e delle quotidiane imprese, e per sostenere gli adulti a diventare devoti e fedeli servitori della Patria Veneta. La Repubblica di Venezia era stata “costituita perpetua da Dio e venerata dagli uomini per la migliore di tutte le Repubbliche del mondo”, perché univa alla saggezza incomparabile delle sue istituzioni il ruolo di “ricovero imperturbabile della Santa Fede”
Dr. Luiz Carlos B. Piazzetta
Erechim RS
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