UNO SGUARDO ALLE ORIGINI DELLA PARROCCHIA DEI SANTI PIETRO E PAOLO DI PEDEROBBA
La prima testimonianza scritta che documenta l’esistenza della parrocchia dei Santi Pietro e Paolo di Pederobba risale al 3 maggio 1152. Papa Eugenio terzo elenca una serie di parrocchie soggette al vescovo trevigiano. Tra queste vi è Petrarubea con tutte le sue pertinenze. La bolla però non accenna ai santi patroni Santi Pietro e Paolo. Il nome Petrarubea nei secoli successivi sarà quasi sempre tradotto e inteso comePietrarossa la caratteristica marna rossa presente in paese , anche se dal punto di vista filologico altre spiegazioni non sono impossibili.
Il documento scritto certifica l’esistente. E’ presumibile che la parrocchia si sia formata attorno all’ottavo secolo, come avvenne in tutto l’Occidente carolingio. Fu un periodo di espansione economica e demografica, una volta terminate le migrazioni o invasioni barbariche. Le zone circostanti già scarsamente abitate, dopo il crollo dell’Impero Romano, erano state invase da foreste e le vie di comunicazioni abbandonate. Tra sesto e settimo secolo giunsero i Longobardi; la loro presenza in zona è resa certa dalla toponomastica tuttora esistente in località e paesi vicini e nei documenti notarili successivi.
Trovandosi Pederobba tra le città veneto-romane di Asolo e Feltre, divenute poi sedi episcopali, potrebbe essere la ragione per cui si ipotizzò Pederobba stessa come tappa intermedia di un ipotetico viaggio di evangelizzazione intrapreso dal vescovo Prosdocimo primo protettore di Padova. Una tradizione medievale infatti narra di San Pietro in persona che invia Prosdocimo a Padova quale base di evangelizzazione dell’intera X Regio Venetia et Histria. Nel viaggio da Padova, Asolo fino a Feltre Prosdocimo si sarebbe fermato a Pederobba. Da qui l’intitolazione della vecchia pieve, la plebs, ai santi Pietro e Paolo. Nulla va tolto alla fede, ma si tratta di una tradizione di scarso o nullo fondamento storico. Il cristianesimo si diffuse infatti in zona tra fine del terzo e inizio quarto secolo a partire dalle grandi città poste sul mare, Aquileia in primis. A quest’ultima fece riferimento anche la parrocchia di Pederobba.
Tra nono e decimo secolo divamparono le devastazioni ungariche che interessarono la zona e tutta la pianura padana e che ebbero a Cartigliano, nel bassanese, un episodio bellico determinante a settembre 899. In questo periodo vanno collocate alcune fortificazioni sulla vicinaplebs di Onigo di cui parlano i diplomi imperiali rilasciati al conte Rambaldo di Collalto. Erano le estreme difese della marca veronese.
Il 19 luglio 1181 papa Alessandro terzo da Viterbo riconfermava a Didone, decano del capitolo di Treviso, la protezione papale sulla cattedrale di Treviso e sulle pievi dipendenti tra cui Petrarubea concessa in precedenza da papa Eugenio terzo.
Lo sviluppo demografico della parrocchia è documentato il 25 agosto 1187 data in cui papa Urbano terzo da Verona conferma a Oberto, decano dei canonici di Treviso, i diritti su poderi e decime sparse nella diocesi e tra queste cita una Ecclesia Sanctae Margarite de Petrarubea cum omnibus pertinentiis suis. E’ la chiesa di Santa Margherita di Costa di cui si è persa traccia che però all’epoca godeva di decime e beni immobili. L’economia era basato sull’allevamento e, in misura minore, sull’agricoltura.
Si abbatté anche su Pederobba la furia della peste nera del XIV secolo che interruppe ovunque il processo di crescita. Si calcola che gli abitanti scendessero ad una metà. Nella faticosa ripresa successiva sorsero accanto alla chiesa principale le chiese campestri, intitolate a santi la cui devozione era spesso dettata da specifiche circostanze di vita della popolazione. La fonte battesimale rimaneva però sempre nella chiesa principale.
Nel 1467 era ormai in rovina la chiesa di Santa Margherita di Costa, mentre era aperta al pubblico la chiesa di San Giacomo delle Brentelle la cui presenza, con funzione di riparo e ospedale, va collegata ai pellegrinaggi verso i luoghi apostolici e alla Compagnia dei Battuti probabilmente di Treviso. Di qualche anno posteriore è la testimonianza circa il Rettorato di San Sebastiano, al Monfenera, ove esisteva un eremo con alcune abitazioni annesse, con obbligo di 5 messe settimanali con esclusione dei mesi invernali. Nel 1578 apprendiamo che erano aperte le chiese di San Giacomo, San Sebastiano, Santa Margherita (evidentemente era stata ricostruita vista la notizia precedente), Santa Fosca, (compare per la prima volta questa santa di provenienza veneziana) e San Martino non più chiesa, ma sede di confraternita. Alla stessa data il parroco afferma di avere 600 anime da comunione, cifra a cui quindi vanno aggiunti i ragazzi non ancora in età da comunione.
L’EPOCA MODERNA
Sul finire del secolo XVI le devozioni accertate nella chiesa parrocchiale sono quelle di Santa Caterina, San Giuseppe e del Nome di Gesù. In un altare dedicato a San Giovanni Battista vi è l’obbligo, non sempre rispettato, di una messa al giorno per lascito di una ricca famiglia di Treviso. Interessanti le notizie raccolte nella visita pastorale del maggio 1593 del vescovo Francesco Cornaro. Le persone di comunione sono scese a 500. Si tratta forse degli effetti di un episodio di recrudescenza della peste. Le messe a San Giacomo sono celebrate ormai solo due volte all’anno, a San Bastian sembra sparito il Rettore che presta servizio nella chiesa principale del paese. Vi è l’obbligo di una messa al mese, il giorno del Santo e delle Rogazioni. Mattino e sera però devono suonare le campane. A Santa Fosca si celebra una messa alle rogazioni e nel dies natalis della santa. La chiesa di San Martino è dessolata. In attesa di ulteriori approfondimenti per i secoli successivi si può dedurre che la popolazione aumentasse in maniera significativa visto che il 23 aprile 1834 la chiesa di Pederobba ha 1404 abitanti di cui 963 da comunione, due istituti assistenziali, e ben 8 oratori: Purificazione di Maria unita a San Martino, Santa Fosca, Santa Margherita unita a Santa Apollonia, San Sebastiano, San Giacomo Maggiore, Sant’Antonio da Padova di proprietà di Antonio Tovena, San Francesco del palazzo Onigo, Santi Vittore e Corona della nobildonna Elisabetta Oniga Farra.
Un periodo di crisi demografica si era avuta nell’età napoleonica con lo spostamento di armate dei vari eserciti e il blocco continentale. In quegli anni aumentano i decessi nella parrocchia. Attorno alla metà del secolo XIX inquietudini nuove affiorano anche nel tranquillo paese, scelto da sempre più numerose famiglie benestanti veneziane e di intellettuali come luogo di buon riposo. I parroci, che hanno finora esercitato la rappresentanza dell’intera comunità rurale, lamentano le prime defezioni alla pratica religiosa. La prima guerra di indipendenza (1848 ) lascia scie di sangue in paese con episodi di limitato valore bellico ma significativi dal punto di vista generale, come nella difesa del colle di San Sebastiano. Anche il clero locale sogna la rinascita della Repubblica Veneta ed appoggiava l’azione dei crociati.
La popolazione aumentava anche se erano in agguato le ricorrenti epidemie di colera e vaiolo. Tristissimo il rito delle esequie dei colpiti da vaiolo. Perdurava la devozione a San Sebastiano ed è documentata la prassi della popolazione (contro il volere dei parroci stessi) a dedicare un giorno di ogni mese a celebrare il santo, come manifestazione di voto emesso probabilmente in giorni di pestilenza.
L’ETA’ CONTEMPORANEA
Sul finire del secolo XIX in concomitanza della crisi dei prezzi agricoli in ambito europeo, della crisi della viticoltura e dall’aumento della pellagra, prende avvio anche a Pederobba la grande emigrazione par le Americhe, Brasile in primo luogo, seguito dagli altri paesi latini e ad inizio novecento per l’America del Nord. Si intensificano contemporaneamente anche le iniziative assistenziali attuate dagli stessi parroci, da famiglie facoltose o dalla popolazione. All’apice di tale sensibilità si pone la costruzione dell’ospedale “Guglielmo e Teodolinda d’Onigo”. Arriva la ferrovia, si dà un nuovo volto architettonico alla Chiesa, si hanno in Monfenera due grandi manovre militari a distanza di pochi anni, sinistro segnale di preavviso di guerra. La ferrovia non porta un cambiamento nel sistema di produzione agricola, semmai agevola l’emigrazione, mentre si avvicina la grande guerra che fa sentire i suoi effetti già ad agosto 1914. Rimpatriano numerosi emigranti stagionali da Germania, Francia e Impero austro-ungarico. La chiesa è a fianco dei rimpatriati con comitati ed iniziative benefiche che si vanno ad aggiungere a quelle già poste in atto negli anni precedenti a livello parrocchiale in ambito creditizio.
A Novembre 1917, dopo Caporetto, Pederobba si trova al centro del ciclone. Il parroco Don Bruno Fraccaro guida l’esodo dell’intera popolazione nelle più svariate parti d’Italia con esclusione della Sardegna. Pederobba è il paese tra i più distrutti tra quelli rivieraschi del Piave. Il ritorno e la ricostruzione sono difficili, le tensioni individuali, sociali e politiche sono palpabili, tenute a freno e incanalate dal clero che vive accanto alla popolazione stessa. Quest’ultimo coltiva il sogno, illusorio, di una ricostruzione attraverso la via della cooperazione. Nel ventennio fu eretto il tipico campanile con pietre del luogo, a ricordo dei caduti della prima guerra mondiale.
Venne la seconda guerra e il terribile il rastrellamento del Grappa. Nel drammatico settembre 1944 l’opera di mediazione di un parroco, Don Giuseppe Favero fu determinante nell’evitare esiti disastrosi per il paese e per la popolazione. Alcune impiccagioni avvennero però lungo l’asse principale del paese. Fu bruciato un unico edificio. In quelle paurose circostanze fu emesso il voto di una processione annuale, tuttora perdurante, nel giorno settembrino dell’Addolorata, a ricordo dello scampato pericolo e del voto all’Addolorata. Il secondo dopoguerra fu nuovamente difficoltoso. Riprese su larga scala l’emigrazione che si estese all’America del Nord e all’Australia. Riprese vigore il sogno di una ricostruzione del paese, in parte distrutto, e della sua economia per via solidaristica e cooperativistica. Il suo fallimento lasciò una scia di polemiche che il tempo, galantuomo, ha contribuito a sopire. I fatti successivi sono cronaca contemporanea. Attorno agli anni 70 prese avvio una profonda trasformazione del paese che si collocò tra i più industrializzati della zona abbandonando i modelli di sviluppo precedenti in cui la parrocchia e il parroco assumevano la rappresentanza della popolazione. Nuovi orizzonti e nuovi compiti tuttora aperti si ponevano alla sensibilità religiosa.
A cura di Sergio Ramon